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Inizia la primavera e l’emergenza immigrazione esplode in tutta la sua drammaticità, senza che il Governo riesca ad elaborare strategie efficaci. La macchina dell’accoglienza e la stessa capacità di gestione del fenomeno da parte delle amministrazioni locali rischia il corto circuito. A Cagliari arriva la nave norvegese Siem Pilot, a bordo 900 migranti, in maggioranza uomini: una nuova emergenza che si aggiunge a quella degli sbarchi diretti sulle nostre coste.

Il dramma umanitario, che si riversa sul nostro Paese e sulla nostra Isola, non deve distrarre l’attenzione sulle complicità della speculazione organizzata. Ormai è scontato che su questa tragedia epocale si sia sviluppata una rete fitta di interessi e una catena di sfruttamento che inizia dalle coste libiche per finire spesso nell’inferno del lavoro nero. E non si parla solo dei famosi campi di pomodori. L’attenzione della magistratura non si concentra, ormai, solo sul nostrano anello del grande affare: le famose coop bianche e rosse (Buzzi docet), che hanno in alcuni casi visto schizzare verso tetti inaspettati il loro profitti, ma sulle ONG, da cui dipendono le 13 navi operanti nei salvataggi a largo delle coste libiche, alcune delle quali battenti bandiera panamense, maltese e tedesca. A sollevare il velo sulla questione è il Procuratore di Catania Zuccaro, che pone un quesito, come le ONG che si occupano del trasporto degli immigrati dalle coste libiche a quelle italiane possano sostenere 400 mila euro di costo di gestione mensile.

Chi le finanzia? E’ facilmente deducibile che queste abbiano direttamente contatto con i trafficanti di esseri umani e si sia creata una “collaborazione” a dir poco torbida. Tanto che la Procura ha affermato che le ONG arriverebbero a ostacolare le indagini sugli scafisti. Cosa più grave è che, mentre i trafficanti aumentano il loro business e le ONG cosiddette umanitarie, dedite a non si sa bene cosa, sono raddoppiate, il numero delle croci su quello specchio di mare è aumentato: nel 2016 erano 5.000, mentre tra il 2013 e il 2015 erano 2.000, eppure avrebbero dovuto costituire un argine. A pagare il prezzo di questa tragedia, è una umanità disperata e il nostro Paese, che da solo non può né deve sostenere l’intero carico di un fenomeno che se non essere gestito rischia di travolgerci.

 

Andrea Vallascas