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Il puparo Matteo Renzi, defenestrato dagli italiani dopo il 4 dicembre, non è più seduto sullo scranno della Presidenza del Consiglio, ma le fila le tiene lui. “Sgoverna”, cioè fa il contrario di ciò che un uomo con a cuore il bene del Paese dovrebbe fare: sparire dalla vita politica. Il Governo Gentiloni è “sereno” dalla sua nascita, questo lo avevamo capito, è in carica ma non ha il sostegno della sua stessa parte politica e del suo stesso coautore. 
Privo di quella legittimazione che dovrebbe avere per rispondere alle emergenze del Paese, languisce dando segni di vita sporadici (vedi il nuovo Salva-Banche). In questi due mesi, dopo settimane impegnate nella campagna referendaria, non si è fatto nulla o quasi. L’attività parlamentare marcisce nella palude, si volteggia, mentre bisognerebbe correre, a fronte di una situazione di assoluta emergenza: occupazione, crescita, zone terremotate, immigrazione e conti pubblici.
Nessuna di queste priorità è stata presa in analisi con soluzioni serie. Segno questo che l’attività dell’intera classe politica al Governo, innamorata di se stessa e dei suoi bisogni, vive una totale cecità e insensibilità a fronte delle decine di emergenze dei cittadini che dovrebbe rappresentare. Ma guai a dirlo, scatta subito, in automatico, l’accusa di populismo e demagogia. Dunque, le cronache politiche di questi giorni riportano una cronaca surreale, la guerra delle undici correnti del PD, la lotta all’ultimo sangue per la conquista della segreteria, le presunte scissioni e i pruriti per la stesura delle liste. Sai quanto gliene frega agli italiani. Tutto torna a girare attorno a Renzi e alla sua bulimia di potere e alla fame di una corte che tiene in ostaggio il nostro Paese da ormai tre anni.
Ingordigia che lo porta a defenestrare la seconda vittima dopo Letta, il suo alter ego Gentiloni. Mentre la vita del nostro Paese si concentra al Nazareno, per distrarre gli italiani, giornali e televisioni, anziché stigmatizzare questa totale irresponsabilità nella cura dell’interesse del Paese, si occupano solo ed esclusivamente di Roma, affidandosi alla fantasia delle sue penne “migliori” per “gossippare”, tagliare e cucire, nel tentativo di spostare l’attenzione e narcotizzare l’indignazione del popolo a fronte di una totale estraneità della classe politica verso la quotidianità del Paese. Cucire una parvenza di decoro è ormai un’impresa impossibile anche per i giornalisti più “scafati”.
 
Andrea Vallascas