Dalle richieste di informazioni ambientali effettuate (26 aprile 2016, 15 ottobre 2016) dalle associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico onlus e Mountain Wilderness Italia è emerso che la Via Ferrata del Cabirol, sulle falesie di Capo Caccia (Alghero), non è munita di alcuna autorizzazione, di alcun genere.

Come tutti sanno, la parete rocciosa di Capo Caccia è tutelata con specifico vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), mentre la fascia dei mt. 300 dalla battigia marina è tutelata con specifico vincolo di conservazione integrale (legge regionale n. 23/1993). Rientra, inoltre, nella zona di protezione speciale – ZPS ITB013044 e nel sito di importanza comunitaria – SIC “Capo Caccia (con le Isole Foradada e Piana) e Punta del Giglio” (codice ITB010042) ai sensi della direttiva n.92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat e nel parco naturale regionale “Porto Conte” (leggi regionali n. 31/1989 e s.m.i. e n. 4/1999). E’, inoltre, contigua all’area marina protetta “Capo Caccia / Isola Piana”.

Non si può che ricordare che, solo due anni fa, (16 novembre 2015) il Corpo forestale e di vigilanza ambientale, “su segnalazione del direttore del Parco naturale regionale di Porto Conte”, aveva “deferito all’Autorità giudiziaria un giovane, appassionato di sport estremi di alta quota, per aver deteriorato, in concorso con altri in via di identificazione, le falesie rocciose del Promontorio di Capo Caccia, nel Parco di Porto Conte. Le falesie si trovano infatti all’interno di un sito protetto dalla Direttiva comunitaria habitat e nel Sito di importanza comunitaria ‘Capo Caccia e Punta Giglio’ e sono quindi tutelate da diversi vincoli di natura ambientale. Il personale forestale della Stazione e della Base navale di Alghero ha contestato al giovane di avere realizzato, senza alcuna autorizzazione, diversi fori nelle falesia del promontorio per inserirvi dei cilindri di metallo ad espansione, piastrine e bulloni di ancoraggio attraverso cui tendere nel vuoto una fettuccia elastica per praticare lo slacklining Tra le ipotesi di reato, oltre quelle sanzionate dall’articolo 733 bis del Codice penale per deterioramento di habitat in aree protette, sono state contestate le violazioni alle norme di tutela del Parco che vietano attività e opere che possono compromettere la conservazione del paesaggio e dell’ambiente naturale”.
In parole povere, per realizzare opere simili bisogna avere preventivamente le necessarie autorizzazioni ambientali. Soprattutto quando vengono realizzate in aree di elevato interesse naturalistico. Sembrerebbe ovvio, no?

Al Gruppo d’Intervento Giuridico onlus non interessano minimamente diatribe in proposito fra arrampicatori su roccia, scalatori, alpinisti o chiunque altro come emergono dai social network per ragioni sconosciute e irrilevanti ai fini della salvaguardia di un ambiente straordinario e unico.
Interessa, invece, che questi interventi di “turismo attivo”, come li si voglia definire, che portano guadagni a chi accompagna comitive e gruppi, siano rispettosi delle normative di tutela ambientale – e conseguentemente autorizzati – e che la loro fruizione si svolga in condizioni di assoluta sicurezza.

Interventi, come le vie ferrate, piuttosto diffuse nell’Italia settentrionale e che sembrano moltiplicarsi in Sardegna, come recentemente sarebbe avvenuto a Tavolara (Via Ferrata degli Angeli) e al Pan di Zucchero di Nebida (Sentiero dei Minatori), ambedue aree di grande rilievo naturalistico e tutelate con vincoli ambientali.
Sono interventi autorizzati? Da chi e con quali atti?

In assenza di autorizzazioni ambientali e urbanistico-edilizie sull’Appennino Parmense è stata posta sotto sequestro preventivo (maggio 2015) la Via ferrata del Monte Trevine.
Stupisce, piuttosto, per quanto è dato vedere, il sostanziale lassismo da parte delle amministrazioni pubbliche coinvolte, Regione autonoma della Sardegna in primo luogo: le associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico onlus e Mountain Wilderness Italia hanno recentemente sollecitato (24 novembre 2017) le amministrazioni pubbliche competenti ad adottare i provvedimenti di legge riguardo quanto emerso sulla Via Ferrata del Cabirol, auspicando definitiva chiarezza sulla reale situazione, sia con l’obiettivo della salvaguardia ambientale sia per garantire la sicurezza a escursionisti e fruitori di Capo Caccia.