Il motto è quello indicato in uno striscione fuori dal palazzo di giustizia di Cagliari: chi inquina paga. Sotto una data storica, quella di oggi. Lo hanno esposto i rappresentanti dei gruppi e delle associazioni che si sono costituiti parti civili.

Se lo slogan diventerà realtà lo dirà l’esito del processo cominciato questa mattina al tribunale del capoluogo contro i vertici di Eurallumina, l’azienda di Portoscuso che produceva alluminio e che ora è chiusa anche se è in corso un’operazione di rilancio. Una fabbrica che divide il territorio: cassintegrati e famiglie da una parte, ambientalisti dall’altra. Uno dei punti cruciali sarà legato alle perizie: le associazioni ritengono che i fanghi rossi abbiano creato inquinamento. Eurallumina no, e proverà a dimostrare il contrario. O almeno di non essere responsabile.

Udienza e processo aperti. Ma per sentire i testimoni del pm il processo è stato rinviato al 15 e 20 marzo. La svolta è arrivata lo scorso 19 maggio con un nuovo capo di imputazione, nel processo aperto davanti alla seconda sezione penale del Tribunale di Cagliari: non più solo pericolo di inquinamento ma disastro ambientale come evento avvenuto. Un cambio di rotta sottolineato a più riprese dai manifestanti del presidio. Una modifica, decisa dal pm Marco Cocco, che ipotizza un reato più grave e che di conseguenza fa anche dilatare i tempi di una eventuale prescrizione.

Gli indagati sono l’amministratore delegato della società Vincenzo Rosino, 66 anni di Portici (Napoli), e il direttore dello stabilimento Nicola Candeloro, di 65, di Francavilla al Mare (Chieti). Prescritto uno dei capi di accusa, quello relativo allo smaltimento illecito di rifiuti. In aula lo scorso maggio, il giudice aveva respinto la richiesta di esclusione, avanzata dai difensori degli imputati, di alcune parti civili che erano state già ammesse dal Gup. Fra le parti ammesse ci sono il Wwf, nove cittadini del Sulcis, in parte agricoltori, e la Confederazione sindacale