Non si sa se sia storia o leggenda, ma dalle parti di Portoscuso, comune dove sorge – o meglio sorgeva – una delle più grandi zone industriali della Sardegna, Portovesme, si parla di un vino praticamente imbevibile chiamato Piombello. E il nome la dice lunga: “aveva valori di piombo mai visti in nessuna bottiglia”, ricordano gli ambientalisti nel sit-in davanti al palazzo di Giustizia di Cagliari in occasione della prima udienza del processo contro i vertici di Eurallumina per disastro ambientale. Un vino, dicono, che riassume tutti i mali del grande sogno industriale post carbone del Sulcis.

Di reale – e questa è storia, non leggenda – ci sono le prescrizioni ministeriali. Che invitano bambini e anziani, in un territorio che si è inventato industriale ma che è profondamente agricolo, a variare la dieta: i prodotti del posto – questo il consiglio – vanno alternati a prodotti nati e fatti lontano da ciminiere e fanghi rossi. Questa è una faccia della medaglia. L’altra è quella che fa leva sui posti di lavoro che, dopo la crisi, sono venuti a mancare. E che non considera fallito il fattore industria. Le fabbriche – questo è il concetto chiave – possono riaprire. Senza fare gli errori di prima, in termini economici e ambientali. Il sogno è quello di un polo industriale bis che nasce dalla ripresa quasi simultanea di ex Alcoa ora Sider Alloys e di Eurallimina legate entrambe da una centrale Enel che riprende a lavorare come ai vecchi tempi. Il processo ai vertici del passato di Eurallumina è un pò l’emblema di questo crocevia. Quattordici le associazioni e i gruppi di cittadini che si sono costituiti parte civile in tribunale sotto il motto “chi inquina paga”.

“È un giorno importante – spiega Ennio Cabiddu, agronomo e ambientalista – per il territorio del Sulcis e per tutta la Sardegna come segnale. Chi ha sporcato deve usare una parte dei suoi profitti per ripulire”. Con lui, con tanto di megafono, anche Angelo Cremona, storica anima verde dei movimenti che chiedono di ripartire dall’ambiente, all’epoca operaio specializzato alla Alsar, poi divenuta Alcoa. Ma Eurallumina sta già ripulendo, dicono invece i sostenitori della ripresa. “In realtà non siamo fermi, siamo solo in fermata – spiega Antonello Pirotto, storico lavoratore e leader delle proteste degli anni più bui della crisi – a rotazione stiamo facendo manutenzione. Le bonifiche interne sono già cominciate. Mentre la svolta sarà con le bonifiche consortili che riguarderanno tutto il polo industriale”. La novità prevista dalla variante per ripartire con l’attività produttiva nel 2020, con un progetto di 240 milioni e 357 posti di lavoro più indotto, riguarda tre punti: niente centrale a carbone, niente innalzamento dei bacini dei fanghi e validità decennale, e non di un quarto di secolo, per l’intero progetto. La modifica richiesta per far andare avanti il piano Eurallumina è ai dettagli finali.

“Tuttavia, il rilancio dell’industria nel Sulcis nasce già in perdita economica e con i soliti pericoli ambientali – denuncia Stefano Deliperi, presidente di un pool di giuristi e ambientalisti, il Gruppo di intervento giuridico – L’Italia si è ricavata un suo spazio con l’alluminio riciclato: meno inquinamento e buone performance economiche. Questo discorso potrebbe valere anche per la Sardegna: la proposta è stata presentata e ripresentata, ma nessuno ci vuole rispondere. Io penso che l’alluminio riciclato potrebbe dare almeno gli stessi posto di lavoro di prima con minore impatto sull’ambiente. Non dimentichiamoci, poi, che per rilanciare l’industria come invece si vuole fare, ancora una volta concorrerà la mano pubblica con contributi a fondo perduto e fondi a tasso agevolatissimo. Ci vorrebbe un pò di buon senso”. Un polo che rinasce anche sul versante Alcoa, ora Sider Alloys. Con una strategia di rilancio presa per mano anche dalla Regione. Ma che cerca di imparare dagli errori del passato: una delle novità del nuovo corso sarà rappresentata dai lavoratori soci in cabina di regia nel board societario. Lì sopra per difendere quello che forse prima, nel furore produttivo anni Settanta e Ottanta, è rimasto in secondo piano: ambiente e posti di lavoro.