attacco-chimico-in-siria-cos-and-igrave-il-giornalismo-ha-perso-la-sua-sfida
La notizia nella sua brutalità è questa: circa 60 persone sono state uccise in Siria, e precisamente nella regione di Idlib, a seguito di un bombardamento con armi chimiche. La notizie è stata diffusa dai gruppi di opposizione anti Assad, i cosiddetti attivisti, e rilanciata dall’Osservatorio Siriano per i diritti umani con sede a Londra. Nessun dei soggetti che ha diffuso la notizia attraverso video e foto è una fonte indipendente. Malgrado ciò, con assoluta certezza è stato affermato che i responsabili del bombardamento chimico fossero dapprima i russi e, in un secondo momento, le forze aeree siriane. Questa affermazione, di parte e non verificata da nessuna fonte indipendente, è diventata “la verità”, anzi l’unica verità, e come tale è stata rilanciata a livello mondiale dalle agenzie e da tutti i media.
 
Il meccanismo perverso dell’informazione – o della disinformazione – ha generato una serie di prese di posizione politiche dalle quali, come è noto, possono discendere scelte molto pericolose per la già precaria situazioni in Siria. Il mostro, come capita sempre in questi casi, è Assad. A nulla sono servite le smentite categoriche dell’esercito siriano che ha chiarito di non essere in possesso di armi chimiche e di non aver “mai usato queste armi, in alcun momento o in alcun posto”, e di non aver intenzione di farlo “mai neanche in futuro”.
 
Damasco ha ribadito, inoltre, di aver rispettato tutti gli obblighi assunti nel 2013 con l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (Opac), a cui la Siria ha consegnato  tutto il proprio arsenale chimico. Semmai, nessuno si è preso la briga di leggere i numerosi rapporti degli ultimi anni e degli ultimi mesi che attribuiscono allo Stato Islamico, ad Al Qaeda e a numerosi gruppi ribelli jihadisti che operano nel nord della Siria una capacità notevole di costruire e utilizzare le armi chimiche. Circostanza di cui sono a conoscenza sia le Nazioni Unite che i governi occidentali, Stati Uniti in testa.
 
Nessuno si è preoccupato di verificare che cosa ci fosse nel sito oggetto del bombardamento. Nessuno si è preoccupato di indagare su chi fossero le vittime e perchè fossero lì. Tutto ciò non è irrilevante nella ricostruzione di un fatto e nel percorso che ogni giornalista deve compiere per verificare la fondatezza di una notizia. Nessun media ha verificato la fonte, si è semplicemente limitato a riproporre quanto asserito dai gruppi anti Assad in una regione dove operano numerose sigle jihadiste, a partire da Al Qaeda. Sono, costoro, gli stessi che in Europa chiamiamo terroristi ma che, per opportunità e propaganda anti siriana, consideriamo di volta in volta, a seconda delle convenienze, “attiviti”, “ribelli”, “ribelli moderati”, “oppositori”, “terroristi”, “islamisti”, “jihadisti”.
 
Questa verità è servita ai governi occidentali per assumere posizioni molto pericolose. Tutto ciò molto prima che fossero condotte indagini indipendenti per verificare il vero responsabile di quelle morti. Su tutte, mi preme ricordare le dichiarazioni dell’ineffabile Federica Mogherini, l’alto rappresentante dell’Unione europea (UE) per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che ha affermato: “Il regime di Assad ha la responsabilità dell’attacco chimico in Siria”. Fa effetto sapere che la Mogherini prende per buoni i video diffusi da al Qaeda e li consideri persino una fonte affidabile. E’ una legittimazione del gruppo terroristico che spiega l’inettitudine dell’Europa a contrastare in modo efficace, se non a parole, il terrorismo di matrice islamico/jihadista.
 
A questa verità, conclamata, si è aggiunta nella notte un’altra verità, questa volta supportata da prove e da immagini satellitari. E’ arrivata dalla Russia.  “Non è stato un attacco con armi chimiche condotto dall’aviazione siriana: le armi chimiche erano contenute in un arsenale dei ribelli che è stato colpito dall’attacco aereo di Damasco”.
 
A differenza di tutti gli altri, il portavoce del ministero della Difesa russo, il generale Igor Konashenkov, citato dall’agenzia russa Tass, ha mostrato ciò che i giornalisti sanno da tempo, almeno quelli che conoscono un minimo la situazione in Siria: nella zona di Idlib, in mano ai gruppi ribelli, si producono armi chimiche. Questi depositi sono il naturale bersaglio delle forza aeree russe e siriane perchè la loro distruzione, che pure può causare delle vittime, ne può salvare molte altre. Ecco che cosa ha detto in breve Konashenkov: “Secondo i sistemi russi di monitoraggio dello spazio aereo, ieri tra le 11.30 e le 12.30 l’aviazione siriana ha condotto un raid aereo nella periferia orientale di Khan Sheikhun, colpendo un importante deposito di munizioni e una fabbrica di armi, contenente proiettili con agenti tossici”.
 
Dal deposito colpito dall’esercito di Damasco, secondo Mosca, provengono le armi chimiche usate dai miliziani jihadisti in Iraq e dall’opposizione armata ad Aleppo, lo scorso autunno. “Le immagini diffuse sul web mostrano le persone affette dagli stessi sintomi di avvelenamento” riportati dalla popolazione di Aleppo, ha chiarito, in proposito, Konashenkov.
 
Prove, dunque, che però non sono servite al sistema propagandistico dei media internazionali a scagionare Assad. La logica, funebre, dell’informazione globale è più o meno questa: il cattivo è chi distrugge un deposito di armi chimiche e non chi le produce. Il mondo va alla rovescia, sia nel sistema dei valori etici e morali, che nella considerazione che i governi occidentali hanno su ciò che è pericoloso e ciò che non lo è.
 
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