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Da Sassari la strada per Quirra è lunga, soprattutto se percorsa in Bus. Lungo la strada un’ombra ci segue senza discrezione: è la polizia politica. Il clima si era capito fin dalla mattina, quando in Piazzale Segni a Sassari, prima che arrivasse il Bus e ben prima che arrivassero i manifestanti, numerosi poliziotti in divisa o meno pattugliavano gli angoli delle strade avidi di fare riprese e istantanee. 
 
Il clima era stato pessimo anche nei giorni precedenti. Come può un Questore rilasciare dichiarazioni inquietanti come quelle rilasciate da Gagliardi? Che significa “applicheremo chirurgicamente e puntualmente” il decreto sulla sicurezza urbana di Minniti e Orlando? I poliziotti devono fare rispettare la legge, non agitarla come un randello per spaventare le persone che vogliono manifestare!
 
E invece in vista del 28 aprile a Quirra così è stato fatto. Prima la notizia pompata ad hoc delle 54 denunce per i fatti di Capo Frasca, caso strano a pochi giorni dalla manifestazione. Poi le parole tuonanti di Gagliardi che interviene a gamba tesa nel dibattito politico. Poi la revoca dell’autorizzazione a tenere il corteo (sempre in nome del decreto sulla sicurezza urbana entrato in vigore il 12 aprile scorso e appunto applicato “puntualmente e chirurgicamente” non per arginare la violenza urbana e negli stadi come annunciato ma per colpire duro il movimento di liberazione nazionale sardo che dimostrava ben lontano dall’urbe). E da ultimo la parata militare che ci siamo ritrovati appena scesi dal Bus. Perquisizioni corporali per accedere al concentramento e centinaia di persone inscatolate in un piazzale e circondate con agenti robocop e cani poliziotto su quattro lati. 
 
Tralasciando il fatto che grazie alla fantastica coppia Minniti-Orlando (leggi PD) la libertà di manifestare è ormai un lontano ricordo gentilmente concesso dallo strapotere di Questori e Prefetti italici, credo che sia il caso di fare due considerazioni a margine. Credo che il vasto movimento contro l’occupazione militare debba rilanciare con forza il suo carattere di massa per poter adeguatamente rispondere a questo tentativo muscolare dello Stato. La risposta non può e non deve essere l’isteria e la vocazione politica non può tornare ad essere minoritaria come se la questione dell’occupazione militare sia una questione di poche avanguardie. 
 
Il 28 aprile siamo scesi in piazza con decine, se non centinaia di bandiere sarde. Bene facciamo in modo che la prossima volta, il 2 giugno, scatti un effetto moltiplicatore e coloriamo con i colori della nostra nazione questa grande vertenza popolare. Non sto dicendo di abbandonare per forza la pratica della disobbedienza civile e della riappropriazione simbolica di quelle terre, ma non possiamo perderci il popolo per strada facendo tanti passi avanti fino a non accorgerci che il grosso è rimasto indietro un pò perplesso o spaventato. Il movimento contro l’occupazione militare deve diventare un grande movimento di educazione politica e civica capace di catalizzare le energie migliori della nostra società. Questo A Foras è a tratti riuscito a farlo dove altri hanno fallito. Continuiamo così e non facciamoci mettere all’angolo che è esattamente quello che aspettano per pescare nel torbido!