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Verso la fine degli anni sessanta Cagliari è stata flagellata da una pericolosa epidemia di epatite virale che ha contagiato diverse persone, ma sopratutto vecchi e bambini . Tra gli infettati, e non poteva essere altrimenti, io e tutti i miei fratelli e sorelle. Alla spicciolata siamo stati ricoverati al Macciotta, uno dopo l’altro. Ricordo le lacrime quando mie sorelle erano state dimesse ed io (e mio fratello più piccolo) no.

Un po’ di logistica. I grandi, quelli che parlavano e camminavano, venivano accolti in due grandi stanzoni, i piccoli, invece, in stanzette più piccole. L’ospedale era pieno.

Credo fosse l’anno dello sbarco sulla luna, il 1969, avevo sette anni. Mio fratellino aveva poco più di due anni. I miei genitori, che allora lavoravano tutte e due, venivano a trovarci una volta al giorno, uno all'ora di pranzo, e l’altro la sera. Non potevo sopportare che mie sorelle fossero state dimesse mentre io no. E chiedevo a mia madre di potarmi via. Mio fratellino stava in un’altra stanza ed i miei, quando potevano venire assieme, si dividevano. Uno stava con me ed uno con lui e viceversa.

Ogni giorno ci facevano una puntura rossa e ogni tanto anche una puntura nera, era il colore del liquido nella siringa. La puntura nera faceva un male boia. A pranzo, i pasti erano sempre leggeri, carne bollita, purè di patate, brodino. Troppo poco e il mio stomaco, abituato ad ospitare ben altra quantità di cibo, brontolava sempre. Ma non ero il solo a soffrire quelle razioni insufficienti di cibo. Anche un ragazzino, uno spilungone con un leggero ritardo mentale, che dormiva in camera con me, proprio di fronte a me e che mi stava un sacco simpatico.

Così una notte, non visti, abbiamo fatto una missione segreta in una stanza dove sapevamo che c'erano biscotti e altre cose. Lui ha fatto il palo. Io ho preso una manciata di biscotti, qualche cracker e numerosi cubetti di marmellata. Con il malloppo nelle mani  siamo corsi nel nostro stanzone. Dopo neppure un minuto è entrata la signorina Rosa, l'infermiera dalla faccia cattiva. Aveva un neo sulla guancia destra e il naso a patata. E non sorrideva mai. È entrata come una furia, gridando come un’ossessa.

“Ah! Vi ho visto”. Le sue grida hanno svegliato tutti. Determinata ha requisito tutto quello che avevo rubato dalle scansie ed è uscita dalla stanza. Subito dopo è rientrata con una faccia accesa e ci ha detto: “Per punizione vi tolgo i pantaloni. Così non vi alzerete più”.

L'indomani mio padre si è accorto che non scendevo dal letto come facevo sempre.

“Che hai?”, mi ha chiesto. “Ti senti male?”

“No, non ho i pantaloni del pigiama e mi vergogno”.

“Ah! E perché non hai i pantaloni?”

“Sono stato punito dalla signorina Rosa”

“E perché?”

“Ieri notte siamo andati io e Franco a rubare “da mangiare” . Avevamo fame”.

Mio padre si è messo a ridere. Poi è andato dagli infermieri ed è tornato con i miei pantaloni. Finalmente potevo tornare a vivere. 

 

Gianluca Medas