bastascio-13-riccardo-e-il-maestro

Tra i miei primi lavori in gioventù c'è stato quello di assistente in una scuola elementare situata in viale Colombo, il Villaggio San Francesco. Nelle classi di questo istituto privato, ma parificato, venivano ospitati sopratutto bambini figli di famiglie problematiche che con lo zainetto si portavano in classe anche i loro conflitti interiori. Bambini spesso caratteriali, aggressivi o depressi, violenti o completamente passivi. Ricordo un bambino che era stato operato alla testa, completamente rasato, e i punti ancora visibili, che stuzzicava i compagni in modo tale che gli dessero sempre colpi sulla ferita. Una situazione che avveniva più volte durante la giornata e che mi causava una tensione continua.

Ricordo un bambino Riccardo, occhi talmente neri che sembravano colorati dalla notte. Aveva un viso  dolcissimo, da angioletto, un putto. La mamma faceva la prostituta e spesso si portava gli uomini a casa. Il bambino chiaramente era lì. Alcune volte i clienti che non sopportavano di averlo attorno lo cacciavano via in malo modo, anche picchiandolo, così capitava di vederlo girare in strada, anche di notte, in attesa che la madre terminasse la sua prestazione. In classe il suo sguardo era sempre lontano, come se l'attimo presente non lo riguardasse più. Era difficile raggiungerlo. Strappargli un sorriso, era un impresa. Non rideva mai. Un giorno, con la classe,  abbiamo deciso di fare una passeggiata  in viale Colombo. Siamo usciti in strada. I suoi compagnetti hanno cominciato ad indicare una donna che passeggiava avanti e indietro, tra gli alberi del porticciolo, li accanto. “Mi! Tua mamma”, ha gridato uno dei bambini. Riccardo ha guardato  meglio: “Mamma!” ha gridato ed è corso ad abbracciarla.Siamo andati verso lei. L'abbiamo circondata. Riccardo l'ha abbracciata.  Lei mi ha guardato. I rossetto sui denti, gli occhi affossati. Le mani di cartapecora. Una quarantina d'anni.

Mi ha guardato come per dirmi – portalo via. E Io ho capito. Ho preso la mano del bambino. E ho detto-  dai chi arriva prima alla fine della strada gli compro un gelato. Tutti sono corsi via. Anche Riccardo. La donna mi ha detto: “Grazie. Sa, sto lavorando”. Le ho sorriso e l’ho salutata….

L'ho incontrato Riccardo, molti anni dopo, era un uomo. In  viale Colombo. Stavo andando al bar di una società di canottieri che è situato poco più avanti, con degli amici – ho sentito una voce che mi chiamava. “Maestro Gianluca, maestro Gianluca”, mi sono voltato. I miei amici si sono fermati stupiti. Non lo potevo riconoscere, se non mi avesse detto chi era. “Sono Riccardo si ricorda?” Non avrei potuto riconoscerlo mai. Vestito da donna, labbra gonfie, piene di rossetto. Guance rosse per il troppo trucco, una gonna sgargiante, una camicetta aperta a mostrare ed un paio di tette  esagerate. “Sono Riccardo si ricorda”? “Si che mi ricordo, ora ricordo, come stai”? “Sono felice, mi ha risposto”, l'ho abbracciato. Mi sono commosso. “E mamma”? “Non c'è più”. I miei amici ridevano imbarazzati di quel siparietto inaspettato ho detto loro. “Vi raggiungo”. Ci siamo seduti su due massi e abbiamo parlato per una buona mezz'ora .

Gianluca Medas