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Ero un ragazzino, un ragazzino con la voce bianca. Spesso mi rimproveravano dicendomi di smetterla di parlare con quella voce improbabile. Avevo dei baffetti trasparenti, i peli nelle gambe, e sembravo più grande della mia età, tant’ è che dopo le partite di calcio della sezione Nag, spesso gli avversari facevano ricorso asserendo che io ero più grande dell’età dichiarata. Peloso dappertutto, ma punito da una vocina da “sopranista” che non voleva plasmarsi. Il mio mezzo di locomozione allora era principalmente il pullman.

Sui  pullman verdi della ACT, (mi sembra che si chiamasse così allora l’azienda dei trasporti pubblici), in quegli anni, c’erano i bigliettai, e il biglietto si faceva una volta saliti sull’automezzo. Non si poteva non pagare, e non c’era necessità del controllore.  Ricordo che si saliva da dietro e si scendeva al centro. Davanti salivano solo quelli che possedevano l’abbonamento. Non si poteva parlare con l’autista e difficilmente un ragazzo restava seduto per più di una fermata. In realtà a me piaceva essere gentile con i nonni e le nonne. E cedevo il posto volentieri. E se per caso mi distraevo ci pensavano loro a chiedermi di potersi sedere. Una volta mi ricordo una signora salita al mercato di San Benedetto con una busta piena di carciofi.  Il pullman non era pieno, ma tutti i posti erano occupati. Questa mi ha individuato e si è avvicinata a me. Io guardavo in strada, ero assorto. Ho sentito un'improvvisa puntura alla spalla. Mi sono allarmato. La signora mi ha sorriso.

“Sono carciofi” mi ha detto. Ed io: “Me ne sono accorto”. L’ho fatta sedere subito e lei si è dimostrata soddisfatta. Un’altra volta è salito un uomo anziano, affaticato, in bilico. L'ho chiamato per invitarlo a sedersi. Un tizio, un giovane dalla faccia torva, nervosa, aggressiva mi ha aggredito: “Se proprio devi fare l’eroe, ci sono prima. E fai sedere me. Ma che credi, sono stanco anche io, e ho diritto quanto quel vecchio”. Faccia da cuoio abbronzata, occhi cinesi, ma accento sardo, camicia dal colletto spappagallato labbra sottili. Odiose. Occhi di colore indefinito. Rabbiosi. Si è seduto lui.

Mi sono adirato moltissimo. Attorno a me tutti i passeggeri facevano finta di nulla. Guardando in ogni parte, meno che dalla nostra. Esercitavano l’antico adagio cagliaritano faidì is fatus tuus. Il vecchio ha attirato la mia attenzione. Poi mi ha detto sottovoce : “Non se la prenda, tanto anche lui un giorno sarà vecchio… perché,sa, quando ero giovane, ero come lui”. Mi ha guardato. Mi ha fatto cenno di non dire nulla. Ha sorriso. Poi alla fermata successiva è sceso, senza salutare.

Gianluca Medas