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Assunta e licenziata dal Comune dopo il no della Regione. È l’incredibile vicenda di una disoccupata del Sulcis che prima ottiene il lavoro nel comune di Gonnesa e dopo un mese viene rimandata a casa. Dietro la decisione dell’amministrazione sulcitana c’è la Regione, che venuta a conoscenza del caso dopo una richiesta di informazioni da parte della stessa Manuela, ha negato alla donna l’inserimento nel progetto a causa del ritardo col quale il Comune avrebbe dato l’ok alla determina che dava il via al progetto. Un pasticcio burocratico che ha stroncato sul nascere le ambizioni lavorative di Manuela che, rimasta senza lavoro e senza stipendio dopo un mese di attività, ha deciso di consegnare tutto il faldone dei documenti alla Guardia di Finanza per raccontare l’assurda storia.

Nel 2013 furono introdotti in Sardegna i “Sussidi una tantum di natura straordinaria” con lo scopo di sostenere lavorativamente i disoccupati e gli ex percettori di ammortizzatori sociali da almeno due anni. Un progetto della durata di 6 mesi per un massimo di 700 euro mensili promosso dalla Regione per attività di “rilevanza sociale” ai beneficiari nei rispettivi comuni di domicilio. Grazie a questo intervento una giovane madre disoccupata di nome Manuela Piras, 34 anni, di Gonnesa, sperava di poter lavorare. Senonché, per cause ancora da chiarire e nonostante ne avesse pieno diritto, è caduta in un vortice burocratico.

 La vicenda inizia nel dicembre 2013 quando Manuela inoltra online la propria domanda di iscrizione al progetto. Nel febbraio di quest’anno le viene comunicato dal Comune di Gonnesa l’inserimento nella lista dei beneficiari. Dopo una prima fase in cui non le viene chiarita la mansione da svolgere, viene nominata “addetta al controllo e riordino e pulizia degli uffici comunali” nei locali della biblioteca, del centro infanzia e dell’edificio polivalente della frazione di Nuraxi Figus. Il 28 settembre riceve una comunicazione ufficiale che la invita a presentarsi per il giorno 30 alle ore 10 nell’ufficio personale del Comune di Gonnesa. Firma l’accettazione e le vengono spedite via e-mail le ricevute. Dal 5 settembre inizia a lavorare.

Tutto procede normalmente fino a pochi giorni fa (dopo quasi un mese di lavoro) quando la donna contatta la Regione domandando la data dell’erogazione del primo stipendio e chiedendo di modificare le modalità del pagamento. Da quel momento precipita la situazione. In Regione, stupiti, le rispondono che non avrebbe nemmeno dovuto iniziare a lavorare perché il Comune di Gonnesa “avrebbe presentato in ritardo la determina”(scadeva il 30 settembre) facendole perdere il beneficio. Per la Regione la donna non ha diritto di lavorare in quel progetto.

 Dopo un primo comprensibile momento di sbandamento e sconcerto, Manuela Piras pretende delucidazioni su come sia potuto accadere tutto ciò e domanda se e come verrà coperto dal punto di vista contributivo ed economico il mese che ha lavorato. Ma soprattutto chiede che fine faranno gli altri 5 mesi di lavoro che pensava le spettassero di diritto. Dalla Regione la informano di aver dato tutto in mano all’Inps di Roma per chiedere se è possibile recuperare la situazione chiedendo una proroga della scadenza di presentazione delle domande ma senza garantirgli alcuna certezza per il mese già lavorato.

 A questo punto, demoralizzata quanto arrabbiata, la donna presenta un esposto alla Guarda di Finanza chiedendo di indagare su questa vicenda per cercare di capire i motivi del ritardo nella presentazione della determina e, tra le varie cose, per comprendere se il mese di lavoro effettuato è da considerarsi in “nero” senza alcuna copertura contributiva, previdenziale ed economica. Dal comune intanto le spediscono una lettera dove le comunicano di interrompere immediatamente ogni attività lavorativa in attesa di nuove direttive dalla Regione. Una vicenda dai contorni assolutamente paradossali.

Tra i tanti interrogativi di questa vicenda, alcuni risaltano: se Manuela Piras non avesse contattato di sua spontanea volontà la Regione per chiedere informazioni, per quanto tempo avrebbe continuato a lavorare nelle modalità sopracitate senza averne diritto e con tutti i rischi che ne sarebbero conseguiti? Per quale motivo è avvenuto (se verrà comprovato) un ritardo nella presentazione della determina alla Regione e come è possibile che un ente pubblico come un Comune possa utilizzare del personale in questo modo senza avere assoluta certezza della condizione dei propri dipendenti?