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“Il petrolio viene venduto a un certo numero di società private, mentre la maggior parte va ad una raffineria italiana posseduta da [nome rimosso] uno dei maggiori azionisti di una società calcistica italiana, dove l’olio è raffinato ed utilizzato localmente”.

A riportare le dichiarazioni di un funzionario di una importante società petrolifera internazionale è Al Araby al Jaded  che lo ha intervistato nell’ambito di un’inchiesta sul traffico dell’oro nero tra lo Stato Islamico e Israele.

“Israele –  continua l’informatore – è diventato in un modo o nell’altro il principale agente di mercato del petrolio dell’Isis. Senza di loro, la maggior parte del greggio estratto dall’Isis sarebbe rimasto tra Iraq, Siria e Turchia. Nemmeno le tre compagnie di trasporto marittimo avrebbero ricevuto il petrolio se non avessero avuto un compratore in Israele”.

Secondo le rivelazioni del gola profonda  “ la maggior parte dei paesi evitano di trattare in questo tipo di contrabbando, nonostante il suo prezzo allettante, a causa delle implicazioni legali e della guerra contro lo Stato Islamico” ma per mezzo di Israele il petrolio verrebbe “esportato a paesi del Mediterraneo, dove assume uno stato di semi-legittimità, per un prezzo tra 30 e 35 dollari al barile”, dieci dollari in meno (a barile) rispetto al prezzo di mercato.

Secondo Al Araby l’affinamento rudimentale verrebbe eseguito “perché le autorità turche non consentono al petrolio grezzo di attraversare la frontiera a meno che non sia concessa licenza da parte del governo iracheno. La raffinazione iniziale viene eseguita per ottenere i documenti per far passare il petrolio in frontiera come sottoprodotto. Funzionari di frontiera ricevono grandi tangenti da bande di contrabbando locali irachene e raffinerie di proprietà privata. Una volta in Turchia, i camion continuano verso la città di Silopi, dove il petrolio viene consegnato ad una persona conosciuta come dottor Farid, Hajji Farid o zio Farid, un israelo-greco sulla cinquantina con doppia cittadinanza”.

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