matteo-boe-lettera-dal-carcere-ai-sardi-and-ldquo-svegliatevi-ospitalit-and-agrave-non-and-egrave-commercio-di-carne-umana-and-rdquo

Premessa alla pubblicazione:

Il documento oggetto di questo articolo è approdato sulla nostra scrivania, con richiesta di pubblicazione, sei mesi fa. Per l’argomento che tratta lo abbiamo letto attentamente decine di volte, altrettante lo abbiamo analizzato, elaborato, sintetizzato, tagliato, anche titolato e quasi pubblicato. Per nulla convinti della modalità di pubblicazione sul nostro spazio, incapaci di fare una scelta nell’eterna lotta tra il dovere giornalistico di cronaca imparziale e quello etico-personale di mediazione, lo abbiamo poi archiviato nella speranza di trovare un giorno il modo giusto di proporlo senza sentirci responsabili di quello che i tempi moderni chiamano hate speech, più volgarmente detto incitamento all’odio, per le varie reazioni e per i vcommenti più o meno contenuti che potrebbe scatenare nei lettori. La lettera infatti, oltre che provenire da un mittente condannato, dalla legge, al carcere per gravi crimini, è manifesto di un’ideologia identitaria tanto profonda quanto, per certi versi, estrema che non possiamo, né vogliamo, strumentalizzare. Lo diciamo subito: il modo giusto probabilmente non lo abbiamo trovato, o forse nemmeno ne esiste uno universalmente corretto o condivisibile, ma, anche se in momento storico in cui la tensione e il malcontento sono ai massimi livelli e le provocazioni non fanno bene a nessuno, non abbiamo ritenuto opportuno disattendere la richiesta di pubblicazione né sottrarre questo documento all’opinione pubblica sostituendoci al giudizio del lettore e togliendogli la possibilità di valutarne da solo il contenuto. Per questo ora, con un po’ di ritardo (la lettera è datata novembre 2015), ve lo proponiamo.

Ciò che vorrei è che il documento e tutto ciò che uno scrive serva da dibattito e non sia un semplice pretesto per parlare del suo autore. So che questa mia visione non è conforme al pensiero dominante. Me ne assumo comunque la responsabilità e l’onere politico ed etico, come ho sempre fatto nella mia vita, indifferente ai costi. Accetto le critiche, anche dure, se in buona fede e sopporterò cattiverie e insulti, ma non rinuncerò alla libertà del mio spirito che, in questo caso, sintetizza dovere politico, amore di patria e onestà intellettuale”. Matteo Boe, 58 anni, maggior esponente, insieme a Graziano Mesina, del banditismo sardo – attualmente sconta una condanna a vent’anni per il sequestro Kassam – affida così il suo pensiero a una missiva-documento intitolata “Pupari, Felloni , Ipocefali e navi Norvegesi” e inviata dal carcere di Opera (Milano) a una sua amica sarda che, su richiesta dell’autore, ci ha proposto di pubblicarla.

Nel manoscritto, tempestato di citazioni forbite che vanno da Bauman a Socrate, da Marx a Diogene, la primula rossa sarda, in una sequenza – lo diciamo subito – di parole spesso forti, spietate, e a tratti discutibili, passando dall’analisi di alcuni personaggi del panorama politico internazionale (“cinici figuri senza vergogna”) alla creazione di Forza Paris (“operazione militare di carattere coloniale”), dall’inquinamento da uranio del poligono di Quirra alla lotta a Daesh, fa una lunga riflessione sul fenomeno dell’immigrazione in Sardegna e sull’indebolimento dell’identità sarda.

Da strenuo e severo indipendentista, Boe denuncia la “colonizzazione” (che risponde a un progetto di “importazione di stranieri”) della terra sarda da parte degli “annientatori di etnie e culture autoctone” che confondono l’ospitalità con il “mercato di carne straniera” e si scaglia contro “il collaborazionismo degli spregevoli felloni al servizio di Roma della finanza e del Vaticano. Politici, intellettuali, giornalisti e marionette dello spettacolo conosciuti a tutti, a cui il puparo colonialista ha riempito la loro ciotola di cani da guardia del sistema”; rievoca l’arcaico concetto di ospitalità, confuso con “quello dell’accoglienza, di cui si riempiono la bocca, che ha invece il sapore dell’accettazione calcolata, sopportata e sempre più spesso monetizzata. Di essa si tende a fare più commercio, legittimo dal punto di vista venale, ma oltraggioso da quello etico”; rimprovera l’ignavia del popolo sardo, “popolo a cui si è spento il faro della dignità e che accetta passivamente, con rassegnazione comatosa, che una nave norvegese, attraversando mezzo mediterraneo, faccia impunemente la spola , con spocchia padronale, dalle spiagge libiche ai nostri porti, trasportando e scaricando una marea di negri”; critica aspramente i migranti, coloro che fuggono, definendoli “gli scappati”, quelli che “inseguendo il benessere e il piacere personali, abbandonano nella miseria, nella corruzione e nell’oppressione la loro gente e i loro paesi. Indegni che mendicano e pretendono anche quello che non è garantito neppure a molti lavoratori, disoccupati e pensionati sardi” e sostenendo che “in un paese sotto sviluppato o oppresso da sistemi di potere iniqui e liberticidi, il dovere etico dei giovani dovrebbe essere quello di offrire la loro intelligenza, la loro forza ed energia, le loro idee innovative e, nel caso, la loro stessa vita per renderla più ricca e più giusta”.Ad essi – continua – alla loro generosità, al loro amore per il prossimo e per la loro nazione, al loro spirito di sacrificio dovrebbe andare tutta la nostra stima e la nostra solidarietà attiva senza distinzione etnica e di razza”.

Riportiamo di seguito, e integralmente, la lettera:

Questa volta mi servo della lingua italiana, l’argomento apparentemente complesso , perché vi s’innestano questioni ideologiche sedimentate e vi convergono sordidi interessi di bottega, dunque controverso, necessita di uno strumento comunicativo comprensivo a tutti. E’ da alcuni decenni che la lingua del tiranno in guanto di velluto, sta sostituendosi prepotentemente alla nostra, ormai relegata a nicchia da protezione UNESCO, e ha un dozzinale ibrido, impastato con un lessico sardo – italiota- con inglesismi, bastardo indecente. Una causa da ascrivere anche a un deleterio campanilismo, in buona e malafede, che, rivendicando una miriade di parlate locali, impedisce di fatto un'unica lingua nazionale ufficiale. Alcuni anni fa scrissi una lettera-documento riguardante, tra l’altro, la questione immigratoria anche sulla nostra terra. Cercai di approfondirne i termini, forse più di quanto questa sorta di “agora” virtuale idiosincratica verso una dilatata dimensione dialettico temporale pacatamente riflessiva, potesse sopportare. Non ripercorrerò la stessa narrazione, ma affronterò elementi nuovi innestatesi in seguito sulla questione. Solo agli ipocefali è negato conoscere i segreti del retroscena, in cui si elabora un poderoso progetto , destinato a stravolgere il paradigma antropologico sociale, etnico e economico, che per secoli, plasticamente ha identificato l’occidente così detto, di cui la nostra Nazione è parte integrante. Solo chi non ha tale intelligenza e capacità critica divora meccanicamente e inconsapevolmente le nefande pietanze, abilmente servite da preclari pupari, che, dietro le quinte, elaborano i loro opulenti piani. I pupari… quelli di sempre, con rare variabili storiche. I gemelli siamesi capitale-finanza, le istituzioni vaticane e il soggetto politico attualmente a loro servizio, la cosi detta sinistra, somaticamente borghese e radical chic.

Un’eufonia di interessi convergenti li accomuna nel bulimico progetto di importazione di stranieri. Braccia ricattabili forti e a buon mercato, per rimpinguare il marxiano esercito industriale di riserva, garantendo, così, serenità e lauti profitti a imprenditori, banchieri e azionisti. Emblematica la figura del PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA Junker , grande sodale di banchieri e multinazionali, che da presidente del Lussemburgo , offriva a questi ultimi pingui opportunità da paradisi fiscali. Ebbene da presidente della commissione Europea pretende d’indossare il saio francescano ”difendendo” strenuamente i poveri del mondo che sbarcano in Europa. Fustigando chi non si allinea e concedendo addirittura, quella flessibilità legata agli stati, per i problemi dei loro cittadini, contribuenti, solo a chi ha finanziato, e finanzia, l’afflusso e il sostegno degl’immigrati. Cinici figuri senza vergogna che si permettono tali atteggiamenti solo grazie alla potenza dei media a servizio di quelli, come lui, che fanno gli interessi del capitale-finanza e grazie alla massa cialtrona di ipocefali, purtroppo con diritto di voto, incapace di pensiero critico e ridondante d’ignoranza. Anche la chiesa Cristiana intravede un succulento interesse in quelle fragili anime da evangelizzare, e nei lauti finanziamenti pubblici ai suo pelosi istituti pseudo caritatevoli, erogati per la gestione degl’immigrati. Schede elettorali fragranti, per urne come solide gradini che innalzano al potere, di stranieri da trasformare velocemente in residenti e cittadini. E le loro cooperative rosse, nello strabordante verminaio della mangiatoia pubblica, che finanziano in maniera surrettizia gli organismi politici e le clientele della classe politica che si è indebitamente impossessata dell’aggettivo sinistra. Come quella borghese radical-chic intellettuale e dello spettacolo, e quella pseudo sanculotta con morbidi materassi nei centri sociali, che scimmiotta il lumpenproletariat (tedesco, sottoproletariato) , in quella versione borghese di romanticismo rivoluzionario che appaga, a l’ombra di papà e mammà, il suo malinteso terzomondismo sublimato in termini mitici con le vittime, dai tratti esotici, del S.I.M.

Sempre pronti a invaghirsi di nuovi “movimenti rivoluzionari”, recentemente la loro scelta è caduta sugli “eroi” del momento, quelli Curdi di Kobane. Una scelta improvvida e grottesca, in quanto arruolati come ascari degli USA in funzione anti DAHES, USA di fatto punta di diamante del loro tanto detestato S.I.M. . I conflitti politici moderni, ricalcano schemi militari tradizionali. Il fuoco di sbarramento , per disarticolare e disorientare la compattezza della controparte, è una delle sue prime e importanti tattiche. Nel momento in cui ha iniziato a prendere corpo il progetto di saturazione di nuova, e docile, forza lavoro e di stravolgimento culturale ed etnico delle nostre Nazioni, l’artiglieria pesante del poderoso apparato mass mediatico, monopolizzato dal sistema, ha vomitato con scientifica veemenza le sue letali atomiche disinformative, suadenti e assertive da un lato denigratorie dall’altro, etichettando con disprezzo i refrattari con stigmi quali: fascista, razzista, egoista, xenofobo, populista, demagogo ma anche bestie e altre amenità del genere. E nel sostratto dell’ignoranza che si afferma e si perpetua il potere. Non di rado massa fa rima con debolezza critica. E infatti più laborioso riflettere sulle increspature concettuali e le dialettiche – Politico sociali reali, che distrarsi sulla patinata superficie di finzioni e frivolezze. E’ nella nostra capacità di penetrare l'apparente che risiede la nostra stessa essenza d’ individui, esseri dotati di una determinata personalità e identità. Non mi soffermo ad elencare le varie perle disinformative a supporto del loro progetto di aggressione migratorio. Alcune verosimili, altre stucchevolmente oltraggiose per la nostra intelligenza. Tutte comunque ben architettate e abilmente confezionate dagli specialisti della manipolazione delle menti. Il loro successo è direttamente proporzionale allo spessore culturale e alla capacità critica dei destinatari. Oggi, che il controllo mediatico è stringente ed esteso, avendo come principale obbiettivo costruire consenso intorno al sistema di potere, è più difficile che in passato maturare una reale autonomia di giudizio. Deriva che conduce gli individui, i gruppi sociali svantaggiati e le deboli comunità nazionali ad agire, inconsapevolmente, contro i loro stessi interessi. Nell’estate del 1992, il potere romano promosse un operazione militare di carattere coloniale sulla nostra Nazione. La chiamarono FORTZA PARIS. Secondo i crismi sopracitati, dipinsero l’iniziativa con toni suadenti e perciò falsi, ad iniziare dal nome.

Fortza Paris, infatti, era un grido identitario di battaglia dei fanti della Brigata Sassari (la 151 e la 152 ), inviati al macello delle trincee della 1° guerra mondiale dai boia dello Stato Italiano. Un espressione che significava e significa appartenenza, solidarietà nelle difficoltà e appello alla coesione, in vista di un obbiettivo da raggiungere. Nulla a che vedere con un operazione militare e coloniale che, però, confidando nella stupidità dei sardi, pensò bene d’impossessarsene e usarla come lurido grimaldello per scardinare qualsiasi velleità di resistenza. Blandirono pure baristi e bottegai, prospettando lauti guadagni con le spese della truppa e indossarono vesti ambientaliste ponendosi come prezioso presidio in funzione antincendio. Una bella faccia tosta! Prendere lezioni di ecologia da chi ha inquinato ampie fette del nostro territorio, Teulada e Quirra docet, con i peggiori veleni compresi metalli pesanti e sostanze radioattive, con i loro infami giochi di guerra. Purtroppo per loro, tali menzogne, sia pur ben dissimulate, non irretirono chi aveva la necessaria intelligenza. Intuendo il loro vero scopo: il controllo militare del territorio, sedurre le popolazioni locali in un processo culturale di interiorizzazione e condivisione del valore dell’uniforme, punta di diamante della legalità statuale, e infine dare la caccia ai refrattari ostili al capitale e al suo potere politico nelle sue istituzioni periferiche. Pochi saggi sono più temibili di molti stolti, diceva Socrate. E pochi audaci e saggi fecero fallire i loro velleitari piani, costringendoli a una sconvenevole ritirata, insieme ai felloni che spalancarono le loro porte. Sull’invasione migratoria anche nella nostra terra, ricalcano gli stessi schemi. Oltre al solito refrain… ci pagano le pensioni, fanno lavori non ambiti dagli autoctoni, contribuiscono ai consumi, rinvigoriscono patrimoni genetici stantii, ci arricchiscono con le loro culture etc etc….. Da noi evocano tradizioni di carattere etico, come il senso dell’ospitalità. Nel mio paese, le giovinette, in primavera si recavano a zappare nei campi di frumento, guadagnandosi così il grano per il pane degli ospiti nella festa di San Francesco. E i migliori” tanchitos e cunzatos” vicini al paese venivano lasciati “innotos “-“ innidos” per i cavalli e i buoi degl’ospiti della stessa festività. Nessuno di quei cani della politica, della finanza, della cultura, dello spettacolo , della chiesa, e del giornalismo, che sbucano in Tv e nei giornali, ha diritto d’insegnarci qualcosa in termini di ospitalità. Noi conosciamo i termini della condivisione da generazioni e nella povertà, loro praticano, a, contrario, quelli dell’esclusione, nella ricchezza.

E pretendono d’insegnarci l’ospitalità, evocandola accorati, da loro declinata in accoglienza per le orde di stranieri che ci portano dall’Africa. Due termini semantici apparentemente simili nella sostanza, ma molto diversi nello spirito. L’ospitalità ha il mitico sapore della genuinità arcaica, quello dell’accoglienza, di cui si riempiono la bocca, ha invece quello dell’accettazione calcolata, sopportata e sempre più spesso monetizzata. Di essa si tende a fare vieppiù commercio, legittimo dal punto di vista venale, ma oltraggioso da quello etico. Per chi ha gli affari, il profitto, il potere come ambizione esistenziale e questo l’alveo naturale. Purtroppo, carenti d’intelligenza e furbizia, tanti sardi si lasciano blandire dalle loro menzogne, traslando il sacro concetto di ospitalità in un deleterio ambito profano, facendo così il gioco e l’interesse dei colonialisti e dei felloni sardi. Un' ospitalità che, nei tempi passati, era uno dei cardini della società rurale sarda e, in particolare nei paesi montagnini, quelli interni del Nuorese. Quando la viabilità era scarsa, i mezzi di locomozione primitivi e non esistevano strutture ricettive a pagamento. In tale contesto l’istituto dell’ospitalità era essenziale nell’ambito dei rapporti sociali ed economici tra le varie comunità sparse nel territorio. Nel corso dei secoli era stato così interiorizzato che era un orgoglio avere ospiti in casa, anche se poverissima. Oggi questo comportamento che è l’espletazione sociale spontanea con il forestiero, nel quadro culturale originario, viene corrotto dai mercanti di carne straniera e dagli annientatori di etnie e culture autoctone come la nostra. L’uso strumentale del concetto di ospitalità si appaia ad altre tecniche manipolatorie. Non tanto sofisticate in alcuni casi, anzi elementari, sufficienti però ad ingannare anche gli ipocefali sardi. In natura esistono erbe definite pioniere, per la loro capacità di colonizzare per prime territori ostili. Allo stesso modo, gli specialisti della manipolazione delle coscienze, hanno individuato elementi comunicativi capaci d’insinuarsi nei territori guardinghi delle comunità umane, così suadenti da imporsi e fecondare comportamenti previsti, funzionali al potere. Cavalli di Troia sono le partitelle di calcio tra giovani immigrati sfaccendati e i locali. Rappresentazioni di genere teatrale e musicale con piccoli gruppi intellettual-borghesi e lavoretti socialmente utili a “beneficio” dei locali. Scene supportate dai media del sistema, che ne decantano la positività, raccontando, con stucchevole e ridondante retorica, il dramma e la bontà degl’ospiti, insieme alla cristiana umanità e lungimiranza di chi ha aperto loro le porte. In tale contesto è necessario rafforzare la nostra capacità di leggere gli eventi, ed esprimerci con libertà di giudizio.

Solo così potremmo definirci ancora individui, cittadini e sardi. Solo così potremmo esprimere la nostra dignità a testa alta e ottenere il rispetto dei nostri diritti civili, sociali e nazionali. In Primis la ragione! Sosteneva Diogene che “se nella vita non si usa la testa tanto vale infilarla in un cappio” . Metaforicamente, son già una moltitudine i sardi che penzolano, beati, nella forca dell’imbecillità. L’ottimismo della volontà mi porta comunque a sperare che tanti sardi con apprezzabile resipiscenza, riacquistino capacità critica e agiscano dunque in libero arbitrio, per la dignità e il bene del nostro popolo e della nostra terra. In tutti i casi mi rivolgo a quella minoranza che si è battuta e si batte stoicamente, con intelligenza e coraggio nella lotta impari quotidiana contro le politiche colonialistiche dello stato Italiano e del capitale- finanza mondiali. Agite con la mente e lo spirito, col verbo e la prassi, comunque col cuore. Sabotate questa invasione programmata, ai danni anche della nostra nazione. Contrastate il collaborazionismo degli spregevoli felloni al servizio di Roma della finanza e del Vaticano. Politici, intellettuali, giornalisti e marionette dello spettacolo conosciuti a tutti, a cui il puparo colonialista ha riempito la loro ciotola di cani da guardia del sistema. Quotidianamente assistiamo alle loro dichiarazioni dal pulpito mass mediatico. I Karzai senza dignità che fanno intelligenza col nemico contro la loro stessa nazione. Perché giusto per ribadirlo, ma senza dilungarmi ed essere ripetitivo, avendo già espresso le mie idee in merito, il nostro concetto d’indipendenza attuale è inscindibile da quello di nazionalismo, inteso come difesa, prima di tutto della nostra nazione in tutte le sue componenti, umane, spirituali, culturali e materiali. Questo nel pieno rispetto delle altre nazioni e nel principio di solidarietà tra i popoli, ed è a coloro che condividono tali ideali che mi rivolgo. Chi tali idee non condivide non può che essere nostro rivale, perché chi non difende la nostra terra e la nostra storia, contribuisce, a vario titolo, a tenerla schiava. Attualmente è difficile condividere temi così solidi. Difficile per l’importante concetto di una modernità liquida, che corrompe l’anima anche della nostra società sarda, per cui è condivisibile solo l’ effimero, ciò che non ha radici, che non impegni a lungo , che è destinato a essere consumato velocemente( anche affetti, amicizie, amore, legami sociali etc.) E buttato, così senza rimpianti, alla spazzatura. Esso comprende pure il sentimento nazionale e tutto ciò che storicamente, lo definisce. Una ulteriore sconfitta per la nostra patria e una deriva disumanizzante per il nostro popolo, avviato velocemente verso una riconversione a massa di consumatori omologati.

Scrive Zigmunt Bauman, nel suo “La vita liquida”, su questo tipo di società: “le maggiori possibilità le hanno coloro che si trovano al vertice della piramide globale del potere, coloro per cui lo spazio non conta e la distanza non è un fastidio. Chi è di casa in tanti luoghi e in nessuno in particolare, persone leggere, briose e volatili come l’industria e la finanza”. Poi, citando J. Attali: "individui simili vivono in una società dai valori volatili, incurante dell’avvenire, egoista e edonista”; in essi “prevale l’accettazione del nuovo come buona novella, della precarietà come valore, dell’instabilità come imperativo, del meticciato come ricchezza”. E’ superfluo dire che la lotta per l’indipendenza della nostra nazione, richiede proprio quello che questo tipo di società rigetta, ovvero impegno e abnegazione, dignità individuale e senso critico, sentimento di appartenenza e difesa etnica, rispetto dei valori, dei principi etici e delle tradizioni, conoscenza, lungimiranza e attivismo politico. Confidiamo comunque nel popolo. In esso scorre sempre la linfa di radici identitarie, difficili da recidere completamente, a dispetto della martellante campagna di denazionalizzazione, globalizzazione, multiculturalistica, meticciocentrica e omologante, di un sistema di potere formalmente democratico ma sostanzialmente autoritario. In tale contesto, inutile ribadirlo, è essenziale l’impegno politico dei nostri militanti, come avanguardia nell’opera di contro informazione e nelle lotte sul territorio. Solo un popolo a cui si è spento il faro della dignità può accettare passivamente, con rassegnazione comatosa, che una nave norvegese, attraversando mezzo mediterraneo, faccia impunemente la spola , con spocchia padronale, dalle spiagge libiche ai nostri porti, trasportando e scaricando una marea di negri. Solo un popolo in catalessi mentale può passivamente accettare che si ripetano ancora iniziative tipiche di epoche passate, quando la nostra patria era luogo di deportazione di individui e popolazioni scomode al potere coloniale, o funzionali ad esso. Oggi pare tutto concesso, per l’inerzia e l’ignavia del popolo, la debolezza ideologica degli indipendentisti e per una classe politica serva del potere romano. D’altronde, beata, questa si etichetta come italiota renziana, bersaniana piuttosto che vendoliana, berlusconiana o grillina etc. , ma nessuno come figlio legittimo della nostra nazione. Sarà la sindrome di Stoccolma… Nessun sardo, degno di questo nome, che senta l’obbligo etico patriotico di protestare e sabotare tali sbarchi dal sapore coloniale. Nessuno che abbia l’intelligenza e l’ardire di denunciare che tale invasione risponde a interessi avulsi dalla Sardegna e dal suo popolo, e che anzi esprime un’aggressione contro di esso. E che il concetto ospitalità-accoglienza, come a suo tempo quello di “Fortza Paris”, è solo un infame grimaldello usato per blandire, in chiave strumentale, l’anima sorgiva del nostro popolo.

Purtroppo ciò stenta ad accadere, ed anzi assistiamo a fatti inauditi come quello del sindaco di Cuglieri che , con grande dignità e rispetto della sua gente, essendosi espresso negativamente sull’accoglienza di gruppi di africani, ha subito un grave attentato intimidatorio. Intralciare i progetti del sistema è sempre pericoloso. Agli imbecilli inconsapevoli, gli utili idioti gramsciani, si aggiungono individui ben più pericolosi. Nei conflitti interni degli stati nazione, il potere centrale usa sempre gruppi di collaborazionisti o bande clandestine, per indebolire dall’interno o fare il lavoro sporco, contro le piccole nazioni che ambiscono alla loro indipendenza-libertà. Cito due esempi emblematici. Nella guerra d’indipendenza algerina, gli Harkis collaborazionisti si schierarono con i colonialisti francesi, contro L’ F.L.N. In Spagna, il governo socialista di Gonzales, usò i G.A.L.( squadrone della morte) per colpire gli indipendentisti baschi. Spero che i patrioti sardi sappiano scovare e rendere inoffensivi quelli che usano l’intimidazione contro chi fa l’interesse dei sardi, e ne issa, in questo modo, la bandiera dell’orgoglio e della dignità nazionali. I negri che scaricano sul nostro suolo, non fuggono da nessuna guerra, e non sono perseguitati politici. In maggioranza giovani che inseguono il benessere in quell’occidente più progredito e più ricco, dipinto dai media globali come la terra del latte e del miele… In cui la felicità e l’opulenza arridono indistintamente a tutti. Naturalmente, e purtroppo, così non è. Come il pollo di Trilussa c’è chi ha tanto e chi neppure un lavoro, e dunque un reddito decente per vivere in maniera dignitosa. Il tipo di economia, capitalistica, e la crisi, che questi ultimi anni ha caratterizzato l’economia europea, comportano una sofferenza cronica e accentuata negli strati più popolari. In tale contesto e realtà congiunturale ecco le classi sociali al potere imporre agli strati popolari la presenza di centinaia di migliaia di immigrati nei loro territori, drenando per loro quelle preziose risorse finanziarie(3 miliardi e 200 milioni di euro solo quest’anno , e finora, nello stato italiano) pagate dai lavoratori e di cui il popolo ha vitale bisogno. E’ la protervia del potere! Ad esso i benefici del commercio di carne umana ( profitti, clientelismo, finanziamenti alle loro cooperative e Caritas varie etc ) al popolo i costi! I pingui progressisti borghesi affermano, con tracotanza, che tutti coloro che sono presenti nel nostro territorio, debbono avere gli stessi identici diritti. Noi indipendentisti nazionalisti sosteniamo invece, con la forza del dogma che , in presenza di risorse limitate, i primi ad usufruirne debbono essere i sardi. Un’affermazione così banalmente di buon senso e scontata da poter essere etichettata come lapalissiana. Perché la patria è come una casa e l’etnia che vi abita una famiglia che, col lavoro, produce le sue risorse. Sulle quali ha naturale precedenza, condividendo le eccedenze con chi giunge da fuori, nel caso. A mio avviso sussiste un ulteriore motivo per contrastare l’aggressione migratoria alla Sardegna. Riguarda la mia visione sul dovere etico degli uomini nei confronti della loro nazione. In un paese sotto sviluppato o oppresso da sistemi di potere iniqui e liberticidi, il dovere etico dei giovani dovrebbe essere quello di offrire la loro intelligenza, la loro forza ed energia, le loro idee innovative e, nel caso, la loro stessa vita per renderla più ricca e più giusta. Ad essi, alla loro generosità, al loro amore per il prossimo e per la loro nazione, al loro spirito di sacrificio dovrebbe andare tutta la nostra stima e la nostra solidarietà attiva senza distinzione etnica e di razza. Al contrario nutrire gli “scappati”, gli opportunisti, i parassiti vili e pavidi , gli avari di cuore sarebbe come invertire i termini dell’evoluzionismo darwiniano, tendenzialmente progressista, quello che ha espresso la civiltà umana.

Nella quasi totalità dei casi, i giovani negri che giungono nella nostra terra sono da ascrivere in quest’ultima categoria. Inseguendo il benessere e il piacere personali, abbandonano nella miseria, nella corruzione e nell’oppressione la loro gente e i loro paesi. Indegni che mendicano e pretendono anche quello che non è garantito neppure a molti lavoratori, disoccupati e pensionati sardi. “Mannos de Badas”( come da noi venivano chiamati i giovani sani e forti che non esprimevano orgoglio, abilità, intraprendenza e coraggio) senza arte ne parte, alloggiati gratuitamente in alberghi, agriturismi e appartamenti con vitto e telefonino garantiti e aventi come unico scopo fare la bella vita passeggiando nelle vie di paesi e cittadine in cerca di svaghi. So che questa mia visione non è conforme al pensiero dominante. Me ne assumo comunque la responsabilità e l’onere politico ed etico, come ho sempre fatto nella mia vita, indifferente ai costi. Accetto le critiche, anche dure, se in buona fede e sopporterò cattiverie e insulti, ma non rinuncerò alla libertà del mio spirito che, in questo caso, sintetizza dovere politico, amore di patria e onestà intellettuale.”

Novembre 2015, Casa di reclusione di Milano Opera

Matteo Boe