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Secondo i dati Ansa, dall’inizio dell’anno sono arrivati nella nostra Regione 5.807 migranti, di cui 1.200 minori non accompagnati. Tra questi, pensavo a un bambino di 8-9 anni, che potrebbe essere mio figlio e in un certo senso lo è; perché non c’è figlio che non sia mio figlio come canta Fiorella Mannoia. Perché io per quel figlio qualche responsabilità ce l’ho. Perché faccio parte della società che lo farà crescere, faccio parte dell’ambiente che ne plasmerà la personalità, sono l’altro sociale che vivrà nei suoi pensieri e ne regolerà i comportamenti.

Di conseguenza, questo bimbo che potrebbe essere mio figlio, è nei miei pensieri. E lo immagino immerso in un viaggio disperante; avrà avuto fame, come quando i miei figli carnali giocano troppo; avrà avuto sete, come quando i miei figli carnali finiscono nuoto. Lo immagino traversando precariamente un mare misterioso, lo immagino sotto un cielo nero con infinite stelle che non è giusto facciano paura. Lo immagino alla ricerca di rassicuranti sguardi di genitore. Genitori che invece, avrà visto disperarsi, piangere, essere vinti. E quel malessere, almeno un po’, devo sentirmelo dentro.

Poi miracolosamente questi figli arrivano qui, proprio a due passi da casa mia. Sì, perché nessun posto è troppo lontano da tanta sofferenza. Ed ecco un pasto caldo e il cielo che si guarda per scelta. E comincia la scuola. Finalmente. Finalmente, un senso di quotidianità, di appartenenza, un ruolo. Un senso.

E poi qualcosa si inceppa; e non smetto di pensare a quei figli. Quelli forzatamente rimossi dal loro banco per paura. Quelli allontanati dai loro amici, dal nuovo mondo colorato. E penso alla fatica dell’addio, al dolore della perdita, alla percezione che avranno, da questo momento in poi, di dover proteggere a ogni costo il loro spazio; anche rinunciando alla scuola prescelta, pur di non rischiare l’invasione da un altro figlio, testimonianza vivente di un mondo venuto male.

Penso ai figli di genitori della mia Cagliari. Anche loro sono figli miei. E riservo un abbraccio ai loro genitori, che non hanno trovato altro modo per difenderli, che hanno pensato che la loro incolumità passasse attraverso l’emarginazione di un figlio migrante; anche loro, sono figli di genitori che non sono riusciti a trovare altre soluzioni.

 

 

Marzia Spedicato, psicologa
info@marziaspedicato.it