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Ma i compiti fanno bene o fanno male?
Quello dei compiti è un argomento che mi sta molto a cuore, da mamma e da psicologa. Per mettere subito in chiaro le cose, penso che sobbarcare di lavoro gli studenti possa essere controproducente, amplificare conflitti in famiglia e frustrare figli e genitori.
 
I dati OCSE su questo sono chiari: troppi compiti a casa sono inefficaci.
 
Tuttavia, l'atteggiamento che sta avendo la meglio tra i genitori, può diventare molto pericoloso. Se da un lato, non si deve cedere a un vigliacco servilismo nei confronti dell'autorità, in questo caso rappresentata dall'insegnante, dall'altro il rischio è di insegnare a non rispettare il lavoro e le competenze degli altri. Invece, ritengo che un insegnante abbia tutte le competenze per decidere se un compito può essere svolto o meno dai propri alunni. Come anche ha il diritto di sbagliare o di non rendersi conto delle difficoltà che gli studenti possono incontrare; gli studenti, dal canto loro (o i genitori, nelle classi elementari), hanno il potere di far presente all'insegnante che qualcosa non sta funzionando al meglio, che i compiti possono essere troppi, che alcuni giorni si può avere meno tempo e voglia da dedicargli o semplicemente far presente  che possono esistere dignitose "esigenze di vita" fuori dall'orario scolastico. 
 
Un altro punto è che i compiti dei figli sono diventati i compiti dei genitori, le frustrazioni dei figli sono diventate le frustrazioni dei genitori.
Tuttavia la scuola non è un'esperienza diretta dei genitori, essi hanno avuto il loro tempo per farla; adesso l'esperienza tocca ai figli, devono essere loro a "vivere" e gestire la loro scuola; compito dei genitori è accogliere, regolare emotivamente e sostenere il figlio ma non sostituirvi. 
 
E allora come si potrebbe comportare un genitore di fronte alla frustrazione del figlio, perso tra libri, quaderni e compasso?
Forse si potrebbe spostare l'attenzione sul suo senso di auto-efficacia, provando a mettere in atto tutte le strategie possibili per incrementarla; incoraggiandolo a "darci dentro", accogliendo la sua fatica, premiandola, magari preparando il suo piatto preferito per cena, complimentandosi per gli sforzi profusi. Riconoscendo quindi al figlio sia la fatica che lo sforzo ma anche la capacità di farcela o comunque, di averci provato. Incrementando il suo senso di auto-efficacia incrementerete la sua autostima. Auto-efficacia e autostima sono doni per la vita!
 
Il rischio di avere un genitore che collude con il figlio nella frustrazione verso l'insegnante, invece, è quello di aumentare un senso di incapacità nella gestione e nelle strategie di lavoro personale (a iniziare dai compiti!), nella gestione dell'autonomia personale e nella gestione del proprio tempo, oltre che un senso di incompetenza nel rapporto stesso con l'insegnante, ossia con "l'adulto significativo”, per un ragazzo in un importantissimo momento di crescita.
 
Quanta roba messa in gioco! 
 
E comunque, anche gestire le frustrazioni è una competenza che si impara. Purtroppo, solo vivendole! 
 
Ma… Ottima, ottima competenza!
 
 
Marzia Spedicato, psicologa
 
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