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In aula al momento della lettura del verdetto che ha confermato l'ergastolo, Francesco Rocca è rimasto impassibile, e con lui anche il padre, che ha assistito a tutte le fasi del processo in assise d'appello a Sassari. Delusi gli avvocati difensori, Mario Lai e Angelo Manconi.

"Ci aspettavamo maggiore prudenza da parte della giuria – hanno dichiarato i due legali subito dopo la pronuncia della sentenza – Si preferiscono le verità costruite da confidenti e anonimi, se la giustizia accetta queste tesi siamo veramente al fallimento". Presenti in aula anche i fratelli e la sorella di Dina Dore.

"Non abbiamo vinto nulla – ha detto in lacrime Graziella Dore commentando la decisione della Corte – abbiamo avuto fiducia nella giustizia, e adesso speriamo di avere la pazienza di affrontare anche un eventuale terzo grado del processo". Fiducia che non è mai mancata neanche all'avvocato di parte civile, Massimo Delogu.

"Ci aspettavamo questa sentenza. Se dieci giudici si sono pronunciati arrivando alle stesse conclusioni, non c'era motivo per cui il verdetto potesse essere diverso, ha sottolineato. Si conclude così un processo d'appello iniziato nel maggio 2016: la Corte, dopo aver ascoltato le richieste di conferma dell'ergastolo arrivate dal pg Gabriella Pintus e dalla parte civile, aveva deciso di riaprire l'istruttoria. In aula erano quindi stati ascoltati Antonio Contu e Giovanna Cualbu, i genitori di Pierpaolo Contu, il giovane, all'epoca minorenne, condannato in via definitiva a 16 anni di carcere come esecutore materiale del delitto. Rigettate le altre richieste della difesa, che miravano a far comparire in aula altri testi e ad avviare una perizia collegiale sulle tracce di Dna riscontrate sul nastro adesivo con cui era stata legata e imbavagliata la vittima. Alle ore 2.15 del 27 marzo 2008 il corpo di Dina Dore, casalinga di Gavoi, viene rinvenuto senza vita nel bagagliaio della sua Fiat Punto parcheggiata all'interno del garage di casa. Il viso della donna è avvolto da diversi giri di nastro adesivo per pacchi, la donna ha subito una sorta di incaprettamento alle mani e ai polsi legati ed è morta per asfissia da soffocamento attuato mediante serrato incerottamento.

A dare l'allarme per la scomparsa della donna, il marito Francesco Rocca, che non l'aveva trovata in casa la sera del 26 marzo, una volta rientrato dal lavoro che svolgeva nel suo studio dentistico di Nuoro. Inizialmente si pensò ad un sequestro di persona. I Rocca sono una famiglia benestante e il padre di Francesco, ex medico e sindaco del paese, era stato già due volte vittima di tentativi di sequestro falliti.

Il ritrovamento del cadavere di Dina nel bagagliaio dell'auto, dopo diverse ore dalla sua scomparsa, fa pensare ad un ennesimo tentativo di sequestro finito con l'omicidio della donna per l'impossibilità, da parte dei malviventi, di uscire dal garage di casa Rocca a bordo della Punto di Dina poiché il telecomando di apertura della serranda era rimasto nella tasca del giubbotto della vittima. Solo cinque anni dopo, a seguito di complesse indagini, numerose intercettazioni e il rinvenimento dei messaggi scambiati tra Dina e Francesco negli ultimi giorni di vita della donna, Francesco Rocca viene incastrato e condannato all'ergastolo, ora confermato in appello, mentre Pierpaolo Contu, giovane meccanico del paese e amico di Rocca, è stato individuato come responsabile dell'omicidio e condannato a sedici anni in via definitiva.

Dalle intercettazioni è emerso come Dina avesse scoperto che il marito la tradiva con la sua assistente di studio, che aveva preso il posto della moglie una volta che questa era rimasta incinta. I rapporti tra Francesco e Dina andavano via via deteriorandosi tanto che Francesco temeva che un eventuale divorzio potesse comprometterne la situazione economica. Così, forte dell'amicizia con Contu, avrebbe convinto quest'ultimo ad uccidere la moglie in cambio di un'ingente somma di denaro.