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Centrale solare termodinamica e a biomassa di San Quirico, il premio Nobel Carlo Rubbia e un po’ di chiarezza in più.

Carlo Rubbia, vincitore del Premio Nobel per la Fisica 1984, non ha bisogno di presentazioni. E’, fra i tanti meriti scientifici, il padre della tecnologia del solare termodinamico e, in tale veste, ha sostenuto in una recente intervista al quotidiano La Nuova Sardegna (“Il Nobel Rubbia: ‘Ostacoli senza senso al termodinamico’”, 11 gennaio 2018) il progetto ibrido di centrale solare termodinamica + centrale a biomassa (potenza complessiva lorda 10,8 MW elettrici) presentato dalla società bolzanina San Quirico Solar Power s.r.l., nella località agricola di San Quirico, verso le pendici del Monte Arci, in Comune di Oristano, interessante circa 55 ettari.

Recentemente, con la deliberazione n. 52/24 del 22 novembre 2017, la Giunta regionale sarda ha concluso positivamente con condizioni il relativo procedimento di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.). La realtà è, però, un po’ di più complessa di quella descritta dal prof. Rubbia, secondo il quale non vi sarebbero impatti ambientali e solo convenienza da impianti simili.

Infatti:

1) il dato fondamentale della “fotografia” del sistema di produzione energetica sardo è che oltre il 46% dell’energia prodotta “non serve” all’Isola e viene esportato (dati PEARS, 2016).

Qualsiasi nuova produzione energetica non sostitutiva di fonte già esistente (p. es. termoelettrica) può esser solo destinata all’esportazione verso la Penisola e verso la Corsica: oltre i collegamenti esistenti (SaPeI, capacità 1.000 MW, e SaCoI, SarCo, Corsica, capacità 300 MW + 100 MW) non si può andare.

E già ora non si può andare oltre.

Visto che la realizzazione di impianti da fonte rinnovabile non comporta la sostituzione automatica degli impianti “tradizionali” (anzi), visto che attualmente non la si può immagazzinare, dell’energia prodotta in eccesso che ne facciamo?

E’ pura speculazione per ottenere incentivi pubblici e certificati verdi o no? Il prof. Rubbia non lo dice e, in verità, non lo vuol dire nessuno, Regione autonoma della Sardegna in primo luogo;

2) come onestamente riconosce il prof. Rubbia, “è chiaro che c’è incompatibilità con l’agricoltura: o si pianta un albero o si fa un impianto come quello. Non si possono fare le due cose insieme, è evidente”, alla faccia di tutti quelli che, interessatamente, sostengono il contrario.

Sorge, banale ma senza risposta, la domanda: per quale cavolo di motivo questi progetti di impianti industriali non vengono proposti in aree industriali, attualmente ampiamente disponibili in Sardegna, già infrastrutturate e senza ulteriore consumo di suolo?

In proposito, si ricorda, che la Regione autonoma della Sardegna si è dotata di norme per la salvaguardia dei suoli agricoli (art. 13 bis della legge regionale n. 4/2009 e s.m.i. e art. 3 del D.P.G.R. 3 agosto 1994, n. 228, direttive per le zone agricole, criteri per l’edificazione nelle zone agricole), avendo competenza legislativa primaria in materia urbanistica (art. 3, comma 1°, lettera f, della legge cost. n. 3/1948 e s.m.i.).

Siamo innanzitutto favorevoli al risparmio energetico, così come alla produzione energetica da fonte rinnovabile, in primo luogo quella solare, soprattutto quando è sostitutiva di quella proveniente da fonti fossili tradizionali, ma tale produzione non può che essere inserita in un più ampio contesto di corretta gestione del territorio, senza assurdi e controproducenti “consumi” di suoli agricoli o, peggio, di valore ambientale e naturalistico, come nel caso di San Quirico, dove esistono aziende agricole e agrituristiche nonché presenze faunistiche di primaria importanza (Gallina prataiola, Tetrax tetrax).

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus