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Secondo i calcoli degli Uffici scolastici territoriali hanno diritto alla pensione dal 1 settembre, ma non per l’Inps, che conteggia i contributi in modo diverso e, al momento, potrebbe trattenere in servizio settanta lavoratori, tra insegnanti e personale Ata, per un altro anno. E’ uno degli aspetti negativi del passaggio di competenze avvenuto proprio quest’anno: la certificazione del possesso dei requisiti e, quindi, il calcolo dei contributi avveniva con il software del Miur mentre oggi deve passare attraverso l’Inps, che ha un sistema di calcolo differente.

La denuncia è del segretario regionale della Flc Ivo Vacca, che evidenzia anche un problema legato “alla carenza degli organici Inps e alla nuova mole di pratiche da gestire: solo in Sardegna sono state 1500 le domande presentate quest’anno, seicento in più del 2017”. Nella scuola però, i termini per andare in pensione sono perentori, da qui la preoccupazione del segretario: “Se quelle pratiche non verranno sbloccate entro il 31 agosto, i settanta lavoratori dovranno aspettare un altro anno prima di veder riconosciuto il loro diritto alla pensione”.

L’appello della Flc va all’Inps regionale, affinché risolva in tempi stretti il problema legato alle incongruenze tra i due software e certifichi i contributi di quei settanta lavoratori. I sindacati hanno sollevato il tema anche a livello nazionale, chiedendo un intervento del ministro e dei vertici Inps: proprio nell’anno del passaggio di competenze, le pratiche pensionistiche relative al mondo scolastico sono passate da 25 mila del 2017 a 33 mila di quest’anno. Nel frattempo, non risulta che gli organici Inps siano cambiati o che sia stata riservata una priorità a un settore che fissa al 31 agosto la data inderogabile per la richiesta della pensione.

“Al di là delle ricadute negative sul piano personale dei lavoratori interessati – ha aggiunto Ivo vacca – gli effetti negativi si scaricano anche sulle mobilità del personale scolastico e delle immissioni in ruolo, per le quali non sono stati calcolati i settanta posti dei lavoratori che, di fatto, risultano ancora in servizio”. Insomma, meno posti liberi per soddisfare le richieste di trasferimento e di stabilizzazione dei precari.