L’immagine di quell’uomo di colore a torso nudo, legato, con la faccia stravolta, ha fatto il giro del mondo, suscitando commozione e rabbia contro i lager in Libia, dove i trafficanti di esseri umani torturano le loro vittime per ricattare le famiglie. E si è commosso anche il Papa che nelle scorse settimane aveva voluto vedere i video di questi lager e, di ritorno dall’Irlanda, aveva esortato a “pensarci bene” prima di rimandare indietro i migranti.
Di quei video ha dato notizia il quotidiano cattolico ‘Avvenire’, che ha pubblicato anche due fermo immagine. Proprio queste due immagini riappaiono in un pezzo del sito Snopes che analizza sette foto postate su Facebook alla fine del 2017 in relazione al traffico di schiavi in Libia. Secondo il sito che si occupa di fact-checking, cinque delle sette foto sicuramente non riguardano il traffico di schiavi in Libia nel 2017 e di due – quelle due che si vedono anche su Avvenire – non si riesce a risalire alla fonte e quindi a dare un’indicazione certa su dove sono state scattate e quando. Il fact-checking ha scatenato una bufera mediatica sul quotidiano della Cei, accusato di aver pubblicato un falso. In un secondo articolo Avvenire ha quindi ammesso che no, quelle foto non provengono dal video mostrato al Papa e le didascalie che lo sostenevano sono state un errore. Nondimeno, sostiene il giornale cattolico, quel video esiste eccome e le due foto incriminate (che pure secondo Snopes girano da un anno) sarebbero state consegnate da dei richiedenti asilo.

Il fact-checking di Snopes
L’analisi di Snopes parte dalle foto pubblicate su Facebook il 24 novembre 2017 da un utente, Rayon Pyne, che denunciava l’indifferenza di fronte al “commercio di schiavi attualmente in corso in Libia”. Nei mesi precedenti, l’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) aveva rivelato l’esistenza di mercati per la vendita di schiavi in Libia e Niger; una notizia successivamente confermata dalla Cnn, che aveva mostrato un filmato con le aste in cui i migranti venivano acquistati e venduti tra indicibili sofferenze e torture.
Per la foto dell’uomo di colore a petto nudo e legato, Snopes non è riuscito a individuare la fonte originale: l’immagine è apparsa nel blog italiano Social Popular News due volte tra febbraio e marzo 2017, mentre ad agosto è stata postata nel blog Milano in Movimento che l’accreditava al fotografo italiano Alessio Romenzi, ma non sono state trovate prove a conferma.

La seconda immagine mostrata dall’Avvenire è quella di tre uomini seminudi, legati ai piedi e appesi a testa in giù contro un muro. Neanche di questa il sito è riuscito a individuare con precisione l’origine. La prima apparizione risalirebbe al 25 ottobre 2017 in un sito nigeriano: citando un utente Facebook, si sostiene che gli uomini siano stati attaccati da alcuni giovani dopo aver commesso un non meglio precisato crimine.

Riguardo a una terza foto in cui si vedono uomini ammucchiati per terra, con segni addosso di violenze, il sito sottolinea che non a niente a che vedere con la Libia o il commercio di schiavi, ma è stata scattata nella Costa d’Avorio nell’aprile 2011, durante le violenti proteste seguite alle elezioni presidenziali.

Una quarta immagine, in cui si vede un giovane di colore con una pistola alla testa mentre un uomo gli punta un dito in faccia, minacciandolo, è stata scattata sì in Libia ma nel 2011 durante i combattimenti contro l’ex dittatore Muammar Gheddafi. La foto di Goran Tomasevic, pubblicata dalla Reuters il 3 marzo 2011, mostrava dei ribelli che avevano catturato un giovane ritenuto un miliziano governativo.

Nella quinta foto, le persone assiepate su un molo non sono in attesa di essere battute all’asta in un mercato degli schiavi ma migranti al porto di Tripoli dopo essere stati recuperati dalla Guardia costiera libica mentre la loro imbarcazione cominciava ad affondare. Il fotografo che l’aveva scattata era Mahmud Turkia e venne pubblicata sia da Getty Images che dalla Afp l’11 aprile 2016.
La sesta immagine, tratta sempre della guerra civile libica, ha vinto il primo premio nella sezione ‘stories’ del World Press Photo nel 2012. Il suo autore, il fotografo francese Remi Ochlik, è morto quell’anno a Homs mentre copriva il conflitto siriano. Nell’immagine, scattata a Tripoli il 25 settembre 2011, si vede un giovane di colore che cammina tra due uomini con una pistola puntata alla testa: sono ribelli anti-Gheddafi che hanno catturato un presunto mercenario di colore.

L’ultima immagine mostra un gruppo di uomini seduti per terra all’interno di una stanza sovraffollata, accasciati gli uni sugli altri: la fonte non è stata individuata da Snopes, ma è stata usata ripetutamente a corredo di articoli su incidenti in prigioni in Mali, Guinea, Camerun e Togo. La prima volta che è stata usata era il 2014, quindi non puo’ riflettere il traffico di esseri umani in Libia nel 2017.

“Non c’è dubbio – conclude Snopes – che il commercio di schiavi sia un fenomeno reale e inquietante in Libia e Niger nel 2017, con migranti che vengono dal resto dell’Africa che passano attraverso il Paese nel tentativo di raggiungere l’Europa”. Tuttavia, si aggiunge, “non ci sono prove che le foto nel post virale su Facebook di Rayon Pyne dipingano il commercio di schiavi. Cinque delle sette immagini sono definitivamente non legate” a questo.

La replica di Avvenire

Investito dalle accuse di aver pubblicato un falso, Avvenire ha replicato in un secondo articolo nel quale ammette l’errore e si scusa per le didascalie errate. Le due immagini (che secondo Snopes girano da circa un anno) non sono fermo immagine ma sarebbero state consegnate dai richiedenti asilo. Quel video però, prosegue il quotidiano cattolico, esiste, e gli accusatori sono invitati a venire a vederlo.

“Nel creare la didascalia delle foto abbiamo erroneamente scritto che erano frame tratti dai filmati. Invece si tratta di foto, anche queste consegnate da alcuni richiedenti asilo. Cosa di cui ovviamente ci scusiamo. Ma i filmati esistono, sono drammatici e sono stati consegnati alla magistratura inquirente. Ed è di questi che parla il nostro articolo”, scrive Avvenire, che poi si rivolge a chi ha ritenuto che “siccome le due foto non sono riconducili con certezza alla tratta dei migranti in Libia, allora tutto è falso. I filmati (che, ripetiamo, pochissimi hanno visto) sono «falsi» e così via col solito armamentario di offese e di ironie”.

“Meglio ribadirlo: sono state sbagliate due didascalie. Purtroppo succede di sbagliare anche a chi cerca di lavorare sempre col massimo dello scrupolo e facendo tutte le verifiche. Per la cronaca: alcuni giornalisti e blogger che stanno attaccando Avvenire sono stati invitati a visionare quei filmati, per rendersi conto di persona della gravità di ciò che contengono. Sinora non se la sono sentita di venire a vederli”, prosegue Avvenire, “una procura della Repubblica ha invece richiesto e acquisito i video dei lager libici mostrati al Papa e di cui Francesco aveva parlato in aereo durante il viaggio di ritorno da Dublino, a seguito dell’Incontro mondiale delle famiglie. «Ho visto un filmato in cui si vede cosa succede a coloro che sono mandati indietro. Sono ripresi i trafficanti, le torture più sofisticate. Prima di rimandarli in Libia bisogna pensarci bene». I reportage del nostro giornale del 2017 e del 2018 sui centri in Libia sono stati invece acquisiti dalla Corte Internazionale di giustizia dell’Aja”.

Fonte: AGI