“Oggi è la giornata del popolo sardo, non è solo una rievocazione storica, il momento nel quale la coscienza collettiva di ciascuno di noi è chiamato a confrontarsi con le grandi sfide del presente: la disoccupazione, la globalizzazione, la continuità territoriale e i grandi temi delle entrate. Un momento nel quale tutti i sardi e le istituzioni devono fermarsi a riflettere per comprendere il nostro ruolo nel mondo di oggi”. Lo ha dichiarato il governatore Christian Solinas poco prima dell’inizio della seduta solenne del Consiglio regionale convocata per le celebrazioni di Sa die de Sa Sardigna. I festeggiamenti sono iniziati alle 9 con la Santa Messa celebrata in Cattedrale dall’Arcivescovo Arrigo Miglio. Intorno alle 10 a Palazzo Viceregio i saluti di Carmen Campus, rappresentante del Comitato Sa Die de sa Sardigna, del Presidente della Città Metropolitana e del commissario del Comune di Cagliari. Alle 10.45 è partito il Corteo accompagnato dal suono delle launeddas del gruppo “Cuncordia a Launeddas”, fino al palazzo del Consiglio regionale.

In Aula in apertura dei lavori è in programma il discorso del presidente dell’Assemblea Michele Pais, segue l’annuncio del presidente della Regione della firma del decreto di attuazione della Legge istitutiva dell’Inno ufficiale della Regione Sardegna. Dopodiché sarà eseguito l’inno “Procurade ‘e moderare”. Dopo gli interventi di Luciano Carta (rappresentante del Comitato “Sa Die de sa Sardigna”) dello storico Nicola Gabriele e del giurista Gianni Loy, sono interverranno i capigruppo. Conclude i lavori Christian Solinas.

Dopo l’esecuzione dell’inno ufficiale della Regione “Procura de moderare”, da parte del Coro parrocchiale Santa Maria degli Angeli di Flumini, del Gruppo Cuncordia – launeddas e del Coro a tenore Murales di Orgosolo, ha preso la parola in Aula lo storico Luciano Carta, presidente del comitato Sa Die de sa Sardigna. Carta si è soffermato su alcuni dettagli del nuovo inno istituito l’anno scorso con specifica legge regionale, sollecitando l’approvazione del regolamento di attuazione, per definire in particolare le modalità di esecuzione e lo spartito. Su questi punti, ha spiegato Carta, la nostra proposta è quella di adottare la melodia del canto gosos, tradizione radicata in tutte le comunità regionali, con una variante per le occasioni festive. Per quanto riguarda i versi, rispetto alle 47 strofe originali, ne sono state scelte 6 che riguardano complessivamente rapporto fra governanti e bene comune, contesto storico, rispetto dell’autonomia e dell’identità sarda come terra non chiusa al mondo esterno, volontà di costruire una società più giusta, superamento del sistema feudale attraverso il risveglio della ragione dopo secoli di oscurantismo, lotta contro gli abusi. Un altro storico, Nicola Gabrielli, ha ripercorso i passaggi che portarono alla legge istitutiva de Sa Die nel’93, ricordando che “allora nelle scuole non si parlava di questo periodo storico”.

In questi anni invece, ha affermato, si è fatto tanto proprio per merito degli storici, facendo emergere che proprio la storia è un elemento costitutivo dell’identità, e la stessa scelta di definire Sa Die una festa del popolo non in riferimento ad istituzione ma alla comunità, riporta alla situazione di allora quando il mondo delle istituzioni era sconosciuto al popolo, un po’ come oggi”. Il concetto fondante, ha proseguito Gabrielli, resta quello di una rivendicazione plurisecolare non solo dell’autonomia sarda ma anche del rinnovamento economico-sociale. Senza dimenticare, ha aggiunto, l’affermazione di un sentimento patriottico che, in condizioni estremamente difficili, riuscì ad avere la meglio sia sulla propaganda francese che sulla monarchia piemontese che allora parlò di eversione, mentre era stata proprio la dinastia sabauda a non convocare il parlamento per quasi un secolo allo scopo di accreditarsi di fronte alle altre monarchie assolutiste del tempo. Il professor Gianni Loy, infine, ha parlato dei movimenti culturali che hanno portato alla decisione di istituire Sa die: “Il senso di questa festa è nell’aspirazione, manifestata nella società sarda negli anni ’70, di esprimere le culture del popolo sardo senza confinarle nell’esteriorità del folklore. Questo processo democratico è ancora in corso e ha fornito indirizzi alle istituzioni: sono state le istituzioni sindacali e i lavoratori che hanno iniziato a dibattere recuperando la lingua sarda.

E non solo loro: ci sono stati poi, sempre in quegli anni, gli intellettuali come Antonello Satta, Eliseo Spiga, Giovanni Lilliu e altri che, in modo trasversale rispetto ai partiti, hanno chiesto di riformulare lo statuto di autonomia e portare la Sardegna all’autogoverno. E ancora, a metà degli anni ’80, è nata l’idea di una festa per il popolo sardo il 28 aprile. Questo è documentato e lo dobbiamo a Umberto Cardia, Nino Carrus, Michele Columbu, Sebastiano Dessanay, Francesco Masala, Domenico Pili, Gianmario Selis e altri che si riunirono per questo a Cagliari. Abbiamo davanti a noi non una celebrazione qualunque ma “la” celebrazione di una nazione, di un popolo che abita la sua terra. Un popolo è sempre in cammino e anche il popolo sardo è in cammino per un mondo di pace per la quale dovrà vincere le tentazioni degli egoismi”.

“Dobbiamo restituire a Sa Die de sa Sardigna il suo significato originario”. Così il presidente del Consiglio regionale Michele Pais, aprendo i lavori del Consiglio in seduta solenne per le celebrazioni di Sa Die de Sa Sardigna. “Una giornata che deve essere occasione per riflettere sul momento storico che attraversiamo, sulla nostra situazione economica e sociale, sul nostro essere sardi – ha detto Pais – una riflessione che non può e non deve esaurirsi in quest’Aula, ma deve coinvolgere tutta la società sarda”.

Un passaggio sulla convocazione dell’Aula di domenica, in un giorno festivo, criticata dall’opposizione per una questione di costi: “E’ fuori luogo ricorrere a un freddo calcolo ragionieristico per contabilizzare i costi dell’apertura del Palazzo. Oggi è importante essere qui, non solo per celebrare il passato, ma soprattutto per costruire il nostro futuro, onorando le vite di uomini valorosi che hanno lottato per ottenere il sacrosanto diritto alla libertà”. Secondo Pais sono maturi i tempi per “immaginare una profonda riforma del nostro istituto autonomistico che quest’anno raggiungerà i 71 anni di vita. E’ arrivato il momento di pensare ad un intervento innovativo sul nostro Statuto”. Il presidente ha ricordato “il tasto dolente dei rapporti con lo Stato centrale che hanno toccato in questi anni il punto più basso. La Sardegna sconta pesanti ritardi infrastrutturali e di sviluppo. La vertenza entrate è lungi dall’essere risolta, ai sardi non è neppure garantito il diritto fondamentale alla mobilità”.

Poi ha ricordato chi soffre: “i malati, i bisognosi e chia ha perso il lavoro”. Ma anche “gli amministratori locali, forze dell’ordine, imprenditori, studenti e operatori culturali. Senza dimenticare i sardi che hanno lasciato l’Isola per lavoro o per studio e che quotidianamente, con il loro agire, tengono alto il nome della nostra amata terra nel mondo”.