La relazione tra l’estetica e la propria condizione interiore, determina l’impressione del bello, questo avviene nell’umano universalmente. L’estetica necessita però di educazione e di formazione, in tutti i linguaggi come in tutte le culture, si manifesta con diverse specializzazione linguistiche (pittura, scultura, musica, videoarte, fotografia, scenografia, architettura, scrittura, poesia, danza…), il bello muta e si manifesta in relazione al sentimento estetico e alla cognizione culturale dei singoli come degli individui. Quando si ragiona su cosa sia o non sia bello, serve partire dal canone culturale di chi lo materializza e di chi l’osserva. Non esistono canoni ideali e norme comuni, non esistono bellezze universali da leggere in bellezze particolari, la bellezza è un canone linguistico e culturale particolare, sempre da comprendere e studiare. Nell’evoluzione della vita, delle vite e nei linguaggi c’è il segreto dell’esuberanza creativa dell’essere che vive, è la vita ad essere l’artista quando sa tradursi in narrazione linguistica e simbolica, isolare l’estetica dal pensiero creativo è deleterio. Lo stato poetico dell’osservatore più che dell’artista (che a volte osserva se stesso) determina l’emozione estetica, l’estetica è intercomunicazione, interconnessione e intercontaminazione.

L’artista insegue non il bello ma l’estetica, l’artigiano insegue l’utile che abbia qualità estetica, la magia di questo inseguimento determina l’estetica. La storia dell’umano è fatta di magia, religione e identità, questo materializza sculture, dipinti, tatuaggi, maschere, bracciali, collane, danze, musiche, canti, ceramiche, fiaschi, anfore…, così si determinano identità, clan, comunità e anche la sessualità, nel contemporaneo il linguaggio dell’arte, che si affrancato nel tempo dalla religione, si è isolato e specializzato nel nome dell’arte per l’arte, l’emozione estetica quando si determina connette mistero e magia, questo alone e codice ambiguo, ci riporta non solo all’essenza dell’arte ma all’essenza dell’umano. Estetica barbarica? La cultura artistica Occidentale (ma quella Sarda è altra storia dell’Arte) ha creduto per molto tempo che i suoi canoni di bellezza fossero universali.

La Scultura e la Pittura, la bellezza greca rappresentata da Lisippo e Prassitele, è stata concepita (o imposta?) come modello di ogni bellezza, Rinascimento e Neoclassicismo altro non hanno fatto che partire da quella grammatica per creare nuove opere. In Europa e in Italia (che non vuole dire Sardegna) si è, erroneamente, creduto che la concezione classica della bellezza (compostezza, armonia, equilibrio e regolarità), debba escludere ogni scoria critica, ogni bruttezza e nefandezza da ricondurre all’umano, determinare un’antinomia senza riserve tra bello e brutto. La globalizzazione ha contribuito a sdoganare (o imporre?) quest’estetica elevata a dogma prima che a canone, non è proprio il marketing della globalizzazione a rendere popolare la Gioconda a Tokyo anche più di Leonardo? Marketing e globalizzazione non sono riusciti ad annullare i generi e i canoni estetici Giapponesi di bellezza, e in quest’ottica non possono e non riusciranno ad annullare i canoni estetici e il linguaggio artistico Nuragico, con buona pace di Winckelmann che lo giudicava infatti primitivo e barbarico.

Non è forse la globalizzazione a fornire in questo millennio all’isola la possibilità di scoprire e fare riconoscere la specificità e la bellezza della sua cultura attraverso la sua storia e i suoi artisti? Ci fosse un’Accademia nell’area di Cagliari Città Metropolitana, si potrebbe riflettere con cognizione di causa su come Goya in Occidente abbia rinegoziato le frontiere tra bello e brutto in Occidente, di come Impressionisti, Van Gogh e Cézanne abbiano gettato le basi per una sensibilità estetica che sappia essere bella anche nella disarmonia. Le condizioni della creazione e della progettazione artistica, sono, prima di Goya, Van Gogh e Cézanne, per lungo tempo dipese da signori e corti potenti o da papi, l’arte comincia a esercitare la sua libertà di ricerca e autodeterminazione tra il XIX e il XX secolo. Ma in questo passaggio, bisogna comprendere come affrancandosi dalla religione, dal potere e dal mecenate, progressivamente si è consegnata alla dipendenza del mercato, gran parte di quelli che oggi si considerano artisti contemporanei sono solo merce. L’idea dell’artista individualizzato non è dissimile dalla contemporanea comunicazione dei social network, ci si oppone alla società del denaro per dipenderne; l’artista “disobbediente” esalta la sua libertà, la sua originalità e la sua creatività, in un contesto sociale di gregge di filistei, che, comunque, seppure insultati da lui, comprano le sue opere.

Un’Accademia serve a tamponare questo processo che riduce i linguaggi dell’arte a merce, a sensibilizzare sui linguaggi dell’arte come bene culturale comune da radicare nella comunità. La tradizione pittorica e scultorea di un territorio, di una cultura, di una comunità, non può essere manipolata dal mercato, deve sapere svilupparsi nel pubblico e con il pubblico e tamponare gli eccessi e le bolle economiche del mercato, il profitto della ricerca artistica comunitaria deve sapere tamponare il profitto della ricerca artistica omologata, globalizzata e privatizzata, in questo millennio quella dei linguaggi dell’arte è una battaglia che ha comunque bisogno della collaborazione con il suo antagonista, il profitto, in quest’ottica un’Accademia nodo formativo in una realtà complessa come quella Cagliaritana, è una necessità. La creatività artistica deve essere stimolata da condizioni esterne, non è detto che per essere artisti contemporanei serva frequentare un’Accademia, ma è certo che anche per chi non frequenta un’Accademia di Belle Arti, l’Accademia di Belle Arti è uno stimolo territoriale a lui esterno. L’arte è l’espressione più elevata del gioco della maturità, gli artisti residenti (e per questo la loro Alta Formazione e lo stimolatore Accademia a Cagliari sarebbe fondamentale) connettendo estetico e ludico, sono un valore aggiunto economico, politico, cerimoniali e religiosi, chi se non l’artista residente è guida che pone il suo talento con la sua vocazione, al servizio di una causa o di una fede comune? L’umanità non può vivere solo di realtà, l’arte è il compromesso con la realtà che ci consente di sopportarla, l’arte residente è l’unico strumento reale, quando sa mettersi al servizio della comunità, per evadere, per ritrovare umanità, passione, compassione e comprensione, evade dal divertimento senza divertimento, è vivere poeticamente la realtà con la consapevolezza della sua crudeltà, l’arte (come tutte le cose) non salva nessuno dalla morte, ma con l’amore e la passione verso la comprensione dell’umana condizione, che stimola e determina, che include e in cui è inclusa, è la sola risposta possibile della vita alla morte.

Cagliari necessita di sviluppare e porre a sistema la sua cultura, considerando il termine cultura in tutta la sua complessità. La cultura è etnografica, ossia la cultura di un popolo, i suoi riti, i suoi costumi, le sue credenze; la cultura è anche Antropologica, non innata, qualcosa che va appresa con il linguaggio, la tecnica, le arti a questo servono i corsi di un’Accademia di Belle Arti. Certo, anche senza un’Accademia di Belle Arti, la cultura è presente nella realtà metropolitana Cagliaritana, ma è cultura popolare, ferma al piacere e al divertimento; è cultura di massa, mediatica, cultura della stampa nazionale, dei quotidiani, televisiva, di facebook e Instagram, ma questa cultura voi la definireste senza riserve estetica? Vi sembra questo possa supplire all’Alta Formazione Artistica? La comprensione e l’educazione all’estetica, che passa per l’Alta Formazione Artistica radicata in una comunità, necessita d’empatia, i linguaggi dell’arte permettono di aprirci a noi stessi mediante la comprensione del linguaggio dell’altro. La meraviglia della comprensione e l’esercizio dei linguaggi dell’arte, è la conservazione dell’umano, riuscire a essere meno chiusi, meno egocentrici, più comprensivi, aperti e complessi. In questo millennio, uno dei grandi problemi dell’arte e della cultura residente è proprio questo, come conservare nel contemporaneo il valore umano della pratica dei linguaggi dell’arte. L’umano Cagliaritano non si può solo nutrire culturalmente di pani e casu, di cinghialetto e maialetto, e fritture di pesce e bottarga; quella della comprensione dell’arte dell’altro è una sua necessità formativa spirituale, l’arte è una necessità per non ridurre una vita a calcolo, profitto e tornaconto personale, tutto questo porta alla frammentazione e alla dispersione dell’umano. Uno dei più grandi piaceri dell’umano è la condivisione artistica e culturale, comprendere insieme un linguaggio artistico arricchisce poeticamente; comprendere vuole dire riconoscere l’unità e la diversità nel linguaggio dell’altro, per fare questo Cagliari necessita di un’Accademia di Belle Arti che garantisca un’insegnamento e una formazione costante alla comunità metropolitana, che radichi una apertura linguistica e comunitaria stabilmente nei giovani artisti residenti che verranno, che vada oltre la comprensione che duri il tempo di una mostra o la visione di un quadro.

Accademia a Cagliari vorrebbe dire, insegnare cosa e quanto sia importante la poesia dell’essere nella vita, sviluppare una cognizione di causa e dell’essere estetico che vada oltre la seduzione dell’estetica. La creazione artistica è sempre complessa, connette conscio e inconscio, implica l’innesto di sapere e competenze multidisciplinari, in quest’ottica, un’Accademia di Belle Arti a Cagliari, sarebbe una rivoluzione possibile (culturale prima che economica) essenziale. Formare l’arte e gli artisti residenti, vuole dire dialogare con la bellezza della vita nel mondo, ma anche resistere alla sua crudeltà di senso. In allegato il Logo dell’Accademia di Belle Arti di Cagliari che non c’è progettato e ideato da tre studenti della classe Quinta C del Foiso Fois di Grafica: Stefano Bertolini, Edoardo Collu e Bianca Maria Caria.

Mimmo Di Caterino