Da giorni Manu Invisible, lo street artista più visibile di tutta l’isola, sta subendo una processo virale virtuale da parte di addetti ai lavori, artisti residenti, appassionati d’arte e attivisti politici. Il pretesto per tale gogna social è stato un lavoro eseguito per la Saras, per la quale a detta di chi lo condanna, lui non avrebbe dovuto eseguire un pezzo su committenza, il pezzo realizzato da Manu Invisible recita “Consapevolezza”, si tratta di una stretta di mano, una mano anziana e una di ragazzo, tra loro una macchia di blu, macchia che fa pensare a una trasmissione di qualcosa d’estraneo alla connessione umana in atto, quasi come se ci fosse un passaggio di qualcosa di contaminato come fatto ineluttabile.

La questione Saras è spinosa, ma se un artista ha ampio margine d’azione è giusto che porti il suo messaggio ovunque? C’è grossa differenza tra un cavalcavia e la Saras? Fare filtrare una riflessione critica all’interno dei quadri dirigenziali Saras con il codice ambiguo dell’arte è da demonizzare? Per un artista come Manu Invisible un lavoro per la Saras non è forse da intendere come un cavallo di Troia? Quasi l’unanime via social network la condanna da parte degli “addetti ai lavori”, molti dei quali osannavano operazioni come Banksy venduto a prezzo esorbitante da Sotheby’s con tanto di serigrafia tritata, o prima ancora il dito medio di Cattelan in Piazza Affari a Milano, come mai su scala ridotta cambia il parametro di valutazione e di giudizio su un artista?

Ci si chiede mai chi siano gli acquirenti interessati a tenere alto il listino di mercato di Banksy o di Cattelan? Mai, si legge solo il messaggio e il linguaggio dell’artista, e su questo andrebbe affrontata la discussione, anzi in quest’ottica una committenza così dichiarata e manifesta (se preferite chiamatela marchetta) è segno tangibile e palpabile di trasparenza. L’impatto ambientale della Saras è sotto gli occhi di tutti, ed è anche nel lavoro di Manu Invisible.

Dal momento che visivamente il messaggio critico è palpabile in quel contatto di mani generazionale, ritengo che Manu Invisible sia finito nell’occhio del ciclone degli haters da tastiera per la sua “freschezza” e trasversalità” anche questa fin troppo visibile. Un artista come Manu Invisible che cura si i suoi interessi, ma si muove da cane sciolto senza mai rinunciare ai propri contenuti dialettici e didattici, disturba molto in un contesto territoriale privo d’Alta Formazione Artistica, in un territorio dove tutti si sentono artisti, curatori e selezionatori del gusto. Il processo virale mi pare mosso e alimentato proprio da frustrazione verso la sua “visibilità”, in tempi non sospetti sentivo lamentele sul come fosse ingiusto che lui non pagasse i diritti pubblicitari per i suoi tag sui cavalcavia delle varie strade provinciali isolane. Quello che Manu Invisible ha in termini d’immagine nell’isola l’ha conquistato dal basso, senza nicchie di protezione e intermediazioni d’addetti ai lavori, altrimenti come spiegare la quasi unanimità di hater addetti ai lavori che lo criticano appena possibile senza riserve. Manu Invisible ha dei meriti storici di stile e linguaggio che non possono essere cancellati per un lavoro su committenza dove richiama esteticamente all’etica rassegnata e passiva della consapevolezza di un territorio e di una comunità.

Manu Invisible storicamente ha scardinato codici e linguaggi tradizionali connettendoli tra loro, è andato oltre l’idea politica e delle scene di genere dei murales tradizionali ha sostituito allo stile delle lettera del writing quello della grafica pubblicitaria guardando oltre writers e street artisti storici, si può dimenticare questo per un lavoro su committenza privata dove invita lo stesso committente privato a una maggiore consapevolezza?

Tra le tante accuse rivolte all’artista via social network, c’è anche quella d’essere stato profumatamente pagato per tale committenza, sulla questione, tramite un intermediario stretto collaboratore di Manu Invisible (che notoriamente non rilascia dichiarazioni) mi sono fatto raccontare come è andata:

“Manu Invisible come sempre ha percepito un lavoro da un committente, si è relazionato alla Saras come fa sempre con i suoi committenti pubblici e privati, per lui una committenza e una committenza e non esiste distinguo in tal senso, gli è stata garantita libertà operativa e linguistica, come sempre ha presentato tre piani di lavoro indiscutibili ma con un listino prezzo invariabile e ha poi realizzato un lavoro commissionato e concordato da una delle tre proposte, con il suo lavoro si è espresso.

Gli danno del marchettaro? Non può sempre fare felici tutti, specie quando si lavora con la Saras come committente, da qui a dire che si sia arricchito e venduto alla Saras ce ne vuole, lo si critichi e si critichi la Saras quanto si vuole, ma mi sembra sia divenuto bersaglio di critiche rivolte alla Saras piuttosto che al suo lavoro rivolto alla Saras in quanto committente, i due piani lavoro su committenza e committente paiono confusi, come se si desse del marchettaro a Goya per avere mostrato la pochezza umana nei suoi ritratti (su committenza) dei governanti che ritraeva a corte.

Il lavoro (se volete continuare a chiamarla marchetta) è da inquadrare nell’ambito di un progetto di mobilità sostenibile dentro lo stabilimento della Saras, Manu è stato soltanto presente alla premiazione delle scuole dove ha concluso l’opera, all’opera i ragazzi non hanno partecipato direttamente, ma a loro idealmente era rivolto il messaggio, perché non leggere questo come un modo per evadere da quella cornice e guardare oltre sottraendosi a un destino e una rassegnazione già scritta?” Alla luce di questo, quella di Manu Invisible è stata una marchetta o no? L’etica di un artista è potenzialmente sempre una “marchetta” se l’artista da professionista risponde a un committente (il criterio in realtà sarebbe applicabile a tutte le professioni), ma non si può ignorare come dal Rinascimento in poi, non esista linguaggio, e ricerca linguistica dell’arte, che non sia sostenuto sotto qualche forma da un committente, la questione è semantica prima che semiotica, quando si legge l’arte cosa leggere in casi come questo? Il linguaggio e la ricerca dell’artista? L’etica del committente? La relazione tra artista e committente? Giulio II Della Rovere era un papa guerriero eppure mise Michelangelo in condizione di realizzare la volta della cappella sistina che ancora ammonisce riguardo le nefandezze dell’umano, Michelangelo era un marchettaro? Mi piace pensare che la consapevolezza di Manu Invisible resti ad ammonire l’impatto ambientale della Saras oltre la Saras per far si che non ci siano più Saras.

Mi chiedo a questo punto, ma se la Saras finanziasse un’Accademia di Belle Arti parificata dal momento che a Cagliari una pubblica non c’è mai stata, la reazione sarebbe la stessa? Perché a questo punto allora meglio farne subito una pubblica ed evitare che accada.

 

Mimmo Domenico Di Caterino