Il 2 agosto del 1980 era un sabato e a Bologna faceva caldo, caldissimo. Alla stazione ferroviaria Centrale c‘era un via vai impazzito di persone, perché quelli erano i giorni del grande esodo, i giorni che anticipano le ferie estive.

Alle 10.25 una bomba rompe quel disordine felice e la frenesia diventa silenzio e distruzione. Sotto le macerie, sparsi qua e là, incastrati tra i treni e le rotaie, sul selciato, scaraventati a decine di metri dal luogo dove stavano poco prima, i corpi di 85 persone. I feriti alla fine sono 200. Questa è la strage di Bologna, una storia di depistaggi e di menzogne, una pagina nera, una delle tante, della storia d’Italia nei cosiddetti anni di piombo.

Il mio pensiero va, in particolare, alla più piccola di quelle vittime, una bambina che veniva dalla mia terra, la Sardegna. Si chiamava Angela Fresuaveva tre anni ed era con mamma Maria, una giovane donna di soli 24 anni.

Come tanti altri conterranei, anche Maria era emigrata dall’isola per lavorare come operaia in una fabbrica di confezioni a Empoli in Toscana.  Insieme a due amiche, Verdiana Bibona di Castelfiorentino e Silvana Ancilotti di Cambiano in provincia di Firenze, stavano andando in vacanza al lago di Garda.

L’esplosione le colse nella sala d’attesa della stazione. Angela e Verdiana morirono sul colpo. Di Maria nessuna traccia, neanche un brandello di carne. Qualche mese dopo, nel dicembre dello stesso anno, i resti di Maria vennero trovati sotto un treno diretto a Basilea, in Svizzera.

L’unica a sopravvivere fu Silvana che ricorda così quei momenti:  “Maria era di fronte a me, a Verdiana e alla bambina, la piccola Angela. Noi eravamo sedute. Lei era lì davanti, in piedi. Poi ci fu l’esplosione. Svenni. E quando riaprii gli occhi solo Maria non c’era più. Era scomparsa. Verdiana e la bambina erano a terra, di spalle. Immobili”.

Ecco perché ogni volta che capito a Bologna, in quella maledetta stazione, il pensiero corre sempre a quella mattina di 39 anni fa. Una mattina estiva che, improvvisamente, perse il sole e la luce.  

 

Tratto da alessandroaramu.it