I colori dei costumi tradizionali e i suoni tipici della Sardegna rivivono a Nuoro per la 119esima sagra del Redentore che si aprirà venerdì 23 agosto alle 18 con la sfilata delle maschere popolari e si concluderà giovedì 29 con il pellegrinaggio al monte Ortobene, la messa solenne e l’ascesa dei fedeli alla statua del Redentore, simbolo religioso per eccellenza del capoluogo barbaricino.

Una festa che unisce il sacro e il profano e che vede il momento clou dei festeggiamenti domenica 25 alle 10 con la sfilata dei costumi tradizionali per le vie del centro cittadino: da viale del Lavoro passando per via Lamarmora, corso Garibaldi, fino a piazza San Giovanni. A chiudere, a mezzogiorno, saranno i cavalieri e la benedizione del vescovo di Nuoro monsignor Mosé Marcia, poi tutti allo stadio Frogheri per il festival regionale del Folklore. “E’ la festa più importante della città e di tutti i nuoresi – ha confermato il sindaco Andrea Soddu nella conferenza stampa di presentazione ai piedi della statua del Redentore – Anche quest’anno si rinnova il rito che vede insieme tradizione folkloristica e momenti religiosi. Ci saranno anche spazi di musica leggera, di jazz e manifestazioni sportive, con un concerto il 24 in memoria dei fratelli Pintor e un memorial di calcio per Roberto Dore, entrambi giovani nuoresi scomparsi prematuramente. In questa occasione – ha aggiunto il sindaco – mi preme lanciare un messaggio di pace: la moltitudine di colori della Sardegna ci fa scoprire l’importanza delle diversità che sono la vera nostra ricchezza”.

Un appuntamento dal forte richiamo anche turistico. “Il Redentore è una festa che si respira in ogni angolo della città – ha spiegato l’assessora al Turismo Rachele Piras – Quest’anno abbiamo introdotto due novità: nella sfilata suonerà la Brigata Sassari che anticiperà l’ingresso degli uomini dell’Arma a cavallo e nella processione dei pellegrini avremmo la partecipazione di coppie in costume tradizionale”. La manifestazione è stata finanziata, oltre che dal Comune di Nuoro, dalla Regione e dalla Fondazione di Sardegna e ha avuto la collaborazione dell’Istituto superiore regionale etnografico (Isre).