“Ripercorrendo le diverse fasi della costruzione della cattedrale di Castelsardo abbiamo ricostruito quello che probabilmente è il più grande retablo in Sardegna”. L’ha annunciato questa mattina don Francesco Tamponi, direttore dell’ufficio Beni culturali e Commissione per l’Arte sacra della Diocesi di Tempio-Ampurias. I temi dell’opera, attribuita all’ignoto Maestro di Castelsardo, saranno svelati venerdì 23 agosto alle 21 nella cattedrale di Sant’Antonio Abate. Sarà quella l’occasione per presentare anche l’inedita opera letteraria “Il retablo perduto”, curata dallo stesso sacerdote per i tipi di Susil Edizioni di Carbonia.

Il volume è frutto del lavoro di digitalizzazione di Paolo Addis, di impaginazione di Fabio Ardau, con il contributo fotografico di Tore Denau. Sono tutti professionisti che lavorano per il sistema museale della diocesi tempiese, il cui direttore è Angelo Casula. Nell’opera don Francesco Tamponi svela i dettagli delle ricerche condotte con gli esperti e accademici Francesco Delogu e Piercarlo Ricci, ma riferisce anche delle tecniche e delle tecnologie utilizzate per assemblare i pezzi del puzzle grazie al quale è stata ricostruita un’opera di cui ormai non restano che pochi frammenti, ma che originariamente misurava sette metri di altezza per cinque di larghezza.

Ospitata nella Pinacoteca di Sassari diretta da Giannina Granara, la conferenza stampa di don Francesco Tamponi non ha svelato i numerosi dettagli che saranno scoperti solo venerdì, quando la ricostruzione dell’opera sarà svelata nella sua interezza. Ma le parole del responsabile dei Beni culturali e artistici della diocesi di Tempio-Ampurias segnano una tappa importantissima per l’arte sacra in Sardegna. “In molti hanno studiato il Maestro di Castelsardo, che possiamo a questo punto considerare la più grande espressione del Rinascimento sardo, ma nessuno l’aveva mai fatto a casa sua, a Castelsardo”, spiega Tamponi. Partendo da questa intuizione, i ricercatori hanno studiato tutte le tappe attraverso cui l’imponente cattedrale di Sant’Antonio ha assunto le sembianze e le dimensioni attuali.

“Così abbiamo scoperto che questo enorme retablo, smontato in epoca post conciliare per volontà del francescano Juan Sanna Porcu, vagava ramingo all’interno della stessa chiesa in cui era esposto sino al 1959”, rivela ancora il coordinatore del progetto di ricerca. Dell’opera resta poco a causa dell’incendio che nel 1951 devastò la cattedrale, perciò quella che si potrà ammirare venerdì è quasi per intero una ricostruzione alla quale si è giunti “grazie a tecniche che ci hanno consentito di avere certezza di un’opera che rivoluzionerà completamente gli studi sul Maestro di Castelsardo”, anticipa il sacerdote esperto d’arte sacra. Il ricorso a tecniche considerate all’avanguardia almeno a livello regionale, come la spettrografia raman usata per scoprire che i colori provenivano sostanzialmente dalla stessa tavolozza, “oggi ci consentono di restituire alla comunità un’opera d’arte del più grande autore del rinascimento sardo”.