La malattia da qualche tempo ha una nuova e maggiore accettazione sociale e l’inclusione, così come la diversità, sono termini che sempre di più fanno parte del nostro vocabolario. Ecco così che anche in tv e al cinema, come in letteratura, si parla di cancro, di autismo, di sindrome di down. E come per tutte le cose è la conoscenza, anche quella più semplice, che allontana paure e pregiudizi. Così mentre arrivano da Venezia film come Mio fratello rincorre i dinosauri di Stefano Cipani, tratto dal libro di Giacomo Mazzariol (dal 5 settembre al cinema), Tutto il mio folle amore di Gabriele Salvatores ispirato al romanzo Se ti abbraccio non aver paura di Fulvio Ervas, (dal 24 ottobre in sala) esce di Anna Contardi il libro ’10 cose che ogni persona con sindrome di Down vorrebbe che tu sapessi’ (edizioni Erickson)  che racconta la malattia con dati e definizioni scientifiche, ma anche testimonianze di vita vissuta dai tanti ragazzi e adulti che, in 40 anni esatti di storia, l’Aipd ha incontrato e continua a incontrare.

Ecco 10 cose che ogni persona con sindrome di Down vorrebbe che tu sapessi
1. Down non vuole dire giù
2. Prima di tutto persone
3. Non siamo tutti uguali
4. Siamo più lenti ma possiamo imparare
5. Ridiamo, piangiamo, siamo felici e ci arrabbiamo
6. Diventare autonomi si può
7. Anche noi diventiamo grandi
8. Anche noi ci innamoriamo
9. Sappiamo di essere persone con la SD
10. Vogliamo andare a vivere da soli

I cinque cambiamenti storici. Dal 1979 (anno di nascita dell’AIpd, che allora di chiamava, significativamente, Associazione bambini Down) a oggi sono cambiate molte cose: le persone con sindrome di Down vivono più a lungo, frequentano le scuole pubbliche, dall’asilo nido all’università, vivono in familglia e non in istituto, si muovono in città, lavorano e, quasi sempre, desiderano andare a vivere da soli (o con gli amici) una volta diventati adulti. “Una rivoluzione resa possibile grazie alla volontà delle persone con sindrome di Down, alle loro famiglie che li hanno sostenuti, alle associazioni, ai volontari, agli operatori che ci hanno creduto e alla scelta dell’inclusione – afferma Anna Contardi – Ma la strada continua e siamo certi che molto c’è ancora da fare, ancora sopravvivono molti pregiudizi. Le persone con sindrome di Down chiedono di essere ascoltate e guardate negli occhi, non solo dai loro familiari o dai medici, ma da tutti noi che li incontriamo oggi, ai giardini, sull’autobus o al supermercato”.