La leader unionista del Democratic Unionist Party (Dup, nazionalisti nordirlandesi), Arlene Foster, ed il suo vice Nigel Dodds hanno reso noto di non poter dare il loro sostegno all’ipotesi di accordo sulla Brexit su cui stanno lavorando il governo di Boris Johnson e la Commissione Ue. Senza il sostegno del Dup difficilmente il Parlamento britannico ratificherà qualsiasi accordo. Foster e Dodds hanno detto in un tweet che continueranno a lavorare con il governo per arrivare ad un accordo “ragionevole”.

“Allo stato attuale non possiamo appoggiare ciò che viene suggerito riguardo alle questioni doganali e del ‘consent’ (dell’assemblea locale dell’Irlanda del Nord sull’intesa relativa ai confini irlandesi, ndr), e manca chiarezza sull’Iva”, scrivono Foster e Dodds nel tweet. “Continueremo a lavorare con il governo per cercare di arrivare ad un accordo ragionevole che funzioni per l’Irlanda del Nord e tuteli l’integrità economica e costituzionale del Regno Unito”, conclude il messaggio.

Il no del Dup, il partito unionista nordirlandese, all’accordo sulla Brexit fa inciampare la sterlina, che scivola sull’euro cedendo lo 0,4% e scambiando a 1,1527.

Intanto nella notte sono proseguite le trattative a Bruxelles: i negoziati tecnici proseguiranno a oltranza nelle prossime ore e fino all’inizio del Consiglio Europeo. Lo riferiscono i media del Regno citando fonti di Downing Street. Londra sembra peraltro ancora sperare che un testo d’intesa, almeno politico se non legale, possa essere definito nelle prossime ore, in tempo per il vertice Ue.

“Stiamo lavorando. Stiamo lavorando”. Così il capo negoziatore dell’Ue Michel Barnier uscendo dalla riunione con gli ambasciatori dei 27, ai giornalisti che chiedevano notizie. Secondo fonti diplomatiche europee, Barnier nel corso della riunione ha detto che c’è ancora del lavoro da fare.

“In teoria prima di mezzanotte tutto dovrebbe essere chiaro sulla Brexit” con un “testo legale pronto”, aveva detto il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Qualche ora prima, dopo aver parlato al telefono con Boris Johnson e con i vertici di Bruxelles da Dublino, il premier irlandese Leo Varadkar aveva detto: “Lo spiraglio per un possibile accordo c’è, ma vi sono ancora molte questioni da risolvere”.

Sulla Brexit non sembra esserci una soluzione in grado di accontentare tutti i britannici, e neppure una maggioranza assoluta di loro: né un deal di qualsiasi genere, né un no deal, né la revoca della procedura di uscita dall’Ue e neppure un referendum bis.

A certificarlo sono i dati incrociati dal centro Kantar e da Bmg sulla media di una serie di indagini demoscopiche aggiornate, e poi analizzati per la Bbc da John Curtice, autorevole sondaggista ed esperto elettorale di riferimento dell’emittente pubblica del Regno.

Curtice osserva che gli ultimi sondaggi indicano – a freddo – una possibile rivincita rispetto all’esito (48% Remain, 52% Leave) del 2016. Ma nota come la potenziale inversione – in media al 53 contro il 47% – non nasca da un sostanziale ripensamento dei pro Leave o dei pro Remain, semmai dall’impatto di nuovi elettori o di elettori che 3 anni fa non votarono: impatto peraltro statisticamente troppo modesto per non lasciare il risultato in bilico nel caso d’una seconda consultazione, preceduta da una vera e aspra campagna referendaria.