Lavori “mai eseguiti oppure pagati due volte”, oppure “non conformi” oltre a costi più elevati per i materiali: una lunga lista di interventi-fantasma che, secondo l’accusa, hanno fatto sborsare allo Stato circa 80 milioni di euro per la realizzazione del carcere di Uta (Cagliari), anche se poi le opere ed i materiali ammonterebbero a 60 milioni.

È dunque di 20 milioni di euro il peculato ipotizzato dalla Procura di Cagliari in una inchiesta che si è appena chiusa con 12 indagati ai quali sono stati inviati gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari. Tra loro impresari, tecnici, collaudatori e massimi dirigenti pubblici che hanno lavorato per anni alla costruzione del carcere.

L’indagine, eseguita dai carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della Procura di Cagliari – come riporta un noto quotidiano sardo – è nata da alcuni esposti arrivati nel 2014 su presunte inadeguatezze del carcere, ma poi si è rapidamente concentrata sul mega-appalto pubblico per la sua realizzazione. I legali degli indagati respingono tutte le accuse.

A indagare dal 2014 sui lavori del carcere di Uta è stato il sostituto procuratore Emanuele Secci che, dopo gli interrogatori, si appresta a chiedere il rinvio a giudizio. Tra gli indagati ci sono Giovanni e Carlo Guglielmi, 64 e 60 di Latina, rispettivamente provveditore delle opere pubbliche per il Lazio, l’Abruzzo e la Sardegna nel 2009-2010 e – il fratello – responsabile unico del procedimento dal 2010 al 2011 e poi per varie fasi dirigente del provveditorato delle opere pubbliche di Cagliari; e gli imprenditori sardi Alessandro e Roberto Gariazzo, 58 e 57 anni, fratelli ai vertici della società “Opere pubbliche” che nel 2005 ha iniziato la costruzione a Uta, nella città Metropolitana di Cagliari, del penitenziario che ha sostituito lo storico istituto di Buoncammino. Nel registro degli indagati sono finiti anche Francesco Fazi (68, Treviso), i sardi Mariella Mereu e Maria Grazia Carta (67 e 40), Walter Quarto (53), Pierluigi Sanna (61), Antonio Porcheddu (55), il romano Vincenzo Pozzi (70) e Giovanni Paolo Gasparri (62, di Teramo), indicati tra i tecnici d’impresa, responsabili di procedimento, direttori dei lavori, progettisti e appartenenti alla commissione di collaudo.

Oltre al peculato il pm Secci contesta, a vario titolo, anche la frode in pubbliche forniture, il falso e il favoreggiamento. Ora le difese potranno avere a disposizione il fascicolo e potranno decidere se presentare memorie o chiedere l’interrogatorio dei 12 indagati prima che il pm formuli la richiesta di fissazione dell’udienza preliminare con la conseguente richiesta di rinvio a giudizio.