Nel Nuorese sono ancora aperte le ferite nel sesto anniversario della tragica alluvione del 18 novembre 2013. Due le vittime della furia del ciclone Cleopatra: l’agente di Polizia Luca Tanzi, inghiottito con la sua auto nel crollo del ponte di Oloè, sulla provinciale Oliena-Dorgali, e l’anziana Maria Frigolini, annegata nella sua abitazione a seguito dell’esondazione della diga di Torpè. Due infrastrutture devastate dall’acqua e non ancora ripristinate, simbolo delle incompiute del post alluvione e oggetto di inchieste giudiziarie già sfociate in processi.

E sia il ponte che la diga non sono stati ancora messi in sicurezza. Il ponte di Oloé, nonostante la spendita di 5 milioni di euro per la sua ricostruzione, è tuttora sotto sequestro da parte della magistratura: per i periti del tribunale di Nuoro, i problemi di sicurezza non sono ancora stati risolti. Di parere opposto i tecnici della Provincia. Una situazione che da sei anni provoca l’isolamento dei due paesi collegati dal ponte, Oliena e Dorgali. Oggi nuovo vertice in Regione a Cagliari con l’assessore dei Lavori pubblici Roberto Frongia, il commissario della Provincia Costantino Tidu, i sindaci di Oliena e Dorgali, Sebastiano Congiu e Maria Itria Fancello, e il consigliere regionale della Lega Pierluigi Saiu.

L’assessore è in contatto con i periti del tribunale per accelerare il dissequestro dell’infrastruttura. Nel frattempo, i sindaci spingono per una soluzione tampone che consenta da subito l’attraversamento del Cedrino. L’obiettivo è quello di posizionare un ponte militare sul viadotto romano di Papalope, rompendo così l’isolamento tra i due Comuni. “In qualche modo stiamo fronteggiando la rabbia dei cittadini, ma così non possiamo andare avanti”, denuncia il primo cittadino di Oliena. Anche a Torpè i lavori sulla diga Maccheronis procedono a rilento. E non sono ancora stati appaltati quelli per la costruzione dell’argine sul rio Posada. “Rispetto a sei anni fa, oggi guardiamo con più ottimismo al futuro – commenta il sindaco Omar Cabras – Abbiamo rafforzato tutto l’apparato di prevenzione, a partire dalle sirene d’allarme sulle sponde del rio Posada: nessuno dovrà più morire come Maria Frigolini”.