Pili (Unidos): “Viaggio a Magomadas dove rifiuti stranieri devastano la Sardegna”

“Quando arrivo a Magomadas, varcando la Planargia verso Bosa, non so esattamente ciò che mi aspetta. Conosco da sempre questo piccolo e colorato paese che si affaccia sull’esclusiva costa di Bosa, meno conosciuta ma non per questo meno affascinante e suggestiva. Quello che mi hanno raccontato è talmente incredibile che non ci voglio credere”. Così scrive Mauro Pili, leader di Unidos, sul sito del suo partito.

“Rompo gli indugi dopo l’ennesimo messaggio che mi arriva dall’etere: ci stanno avvelenando, scavano in mezzo alle campagne e interrano fanghi neri, il paese è irrespirabile. Molto spesso dietro questi messaggi c’è esasperazione ma anche esagerazione. Alla fine decido di allungare lo sguardo e l’olfatto, in questa terra dove i profumi sono unici, selvaggi, esclusivi, come il lentischio e il corbezzolo colmo di frutti rossi come palle di natale. I tornanti attraversano rotondamente paesi e campagne. Un tutt’uno tra affreschi-mulares di fattura eccelsa che scandiscono l’arrivo a Magomadas. Quando varco il paese apro il finestrino della macchina. Come a sincerarmi che quei messaggi fossero un allarme surreale figlio della suggestione collettiva. L’impatto, invece, è devastante. Il profumo naturale di questa terra devastato e sopraffatto da un tanfo intenso come un cazzotto in pieno volto, come se un treno di puzza nauseabonda ti avesse travolto in un attimo. Mi avevano detto di questo impianto in campagna che trattava rifiuti. E qualcuno mi aveva detto che dei camion ‘continentali’ ogni mattina arrivavano carichi di ogni sconcezza”.

“Anche in questo caso mi sembravo tutto surreale: chi volete che arrivi ogni giorno a Magomadas per portare rifiuti? Quale convenienza avrebbero a solcare addirittura il mare per portare fanghi putridi sino all’oasi incontaminata della Planargia? Non ci voglio credere. Ma la realtà mi travolge. Il tanfo è talmente invasivo che la gente cammina per strada con il naso coperto, con il bavero o la mano per proteggere la respirazione, un povero cristo corre con la mascherina sul viso. Qualcosa mi sfugge. E’ talmente devastante che non può essere lontano dal centro abitato. Mi sono ripromesso di non chiamare nessuno, per non farmi condizionare e poter valutare autonomamente. Torno indietro. E’ solo in quel momento che mi accorgo, sul ciglio della strada d’ingresso, di una stradina rattoppata che s’innesta verso una sorta di accampamento con un movimento mezzi non normale in un paesino di vini eccelsi, turismo estivo e murales.”

“Entro, per rendermi conto – continua Pili – Percorro in lungo in largo quell’area recintata come si conviene ad un pollaio. Ancora, però, non mi capacito di quello che sta accadendo. Sono costretto a fermarmi, per osservare meglio, aprendo per l’ennesima volta quel dannato finestrino che vorrebbe restare chiuso per timore dell’onda d’urto. Allungo lo zoom. I camion, che sembrano blindati e nuovi di zecche, sono marchiati Transisole, in realtà la società che li governa risulta dislocata a Bolzano. Dall’altra parte del continente, al confine con le Alpi. Il ribaltamento di questo colosso nero che sto inquadrando, con cassone gigante, è totale. Verticale, inclinato come una parete rocciosa, a valle due escavatori. Benne stracolme di fanghi neri, quelli putridi e di chiara matrice fognaria, per giunta continentale. Sono le fogne della Puglia, della Campania e chissà da quale altro nefasto cesso dell’italia, direttamente collegate con questo collettore di puzza e inquinamento che è stato maldestramente realizzato all’ingresso di Magomadas”.

“Non c’è un solo capannone. Quattro pilastri, una zanzariera, quattro buche per terra, alcune in cemento armato. Tutt’altro rispetto al progetto che avevo letto in chiaro sulla delibera della giunta regionale che aveva autorizzato questo mostro nel cuore della Planargia. Basti un solo dato: potrà trattare 80.000 tonnellate di fanghi fognari in un anno. La Sardegna ne ha prodotti appena 55 mila. E quelli prodotti in casa sono smaltiti da un’altra lobby fangaria. Questo significa che è stato autorizzato un centro, esistente solo sulla carta, che dovrà trattare fanghi provenienti dal continente in quantità superiore a quella prodotta dalla Sardegna. E tutto dovrebbe gravare sul piccolo paese di Magomadas. Peccato che sia vietato. Peccato che ci siano leggi che impediscono questa invasione di rifiuti. Peccato che sia assolutamente immorale pensare di utilizzare la Sardegna come una discarica d’Italia”.

“Entra dentro quella sorta di accampamento. Intravvede il camion verde con l’escavatore che qualche giorno prima era stato beccato da una ragazza in piena campagna facendo buche e interrando quei fanghi. Roba da Africa, roba da terra dei fuochi. Impuniti. Quel camion verde e quella ruspa sono lì dentro, insieme ai camion moderni arrivati via mare per scaricare in Sardegna le feci del continente. Un’escavatorista si accorge della mia macchina, urla al caposquadra: c’è una macchina che sta fotografando. Il tizio non sente, si avvicina al mezzo meccanico. Ha una tuta bianca e una maschera sul viso, una di quelle che ho visto usare solo nelle guerre nucleari simulate. Gli ripete la presenza sospetta. Il capo si porta la mano sulla fronte per contrastare il sole che mi protegge dalla sua visuale. Strabuzza gli occhi, le movenze sono quelle dell’allarme. Nemico in zona, come se fossi io il nemico. Si mette a correre. Gli operatori lasciano i mezzi, con rapidità da fuga improvvisa. Gli escavatoristi si riparano dietro la visuale, i camion si attrezzano per lasciare il luogo del delitto. Una macchina scalcagnata è sempre di vedetta al di sopra della strada principale. Dentro una giovane donna che fa il turno con altri cittadini per controllare che la ruspa non esca da quel recinto per impedirgli di ripetere quelle buche criminali nella terra di Planargia. Esce un mezzo di controllo dall’accampamento. Gira e rigira per accertarsi che la mia auto sospetta sia andata via. Non mi vedono e fanno uscire i camion. In fila indiana. Per scorrere nei tornanti a ritroso. Sino alla 131. Da Magomadas la missione è Cagliari, verso il porto. Sali e scendi di fanghi nefasti che avvelenano la nostra terra in lungo e in largo”.

“Li seguo – racconta il leader di Unidos – Sto dietro il secondo camion. Sino allo svincolo per Villanovaforru. Lì la svolta. Il primo prosegue per Cagliari, il secondo mi porta a spasso. Strade impervie, tornanti, strade bianche. Cerca di dissuadermi dal seguirlo. Ormai, però, è chiaro, dall’altro capo del telefono gli hanno detto di farmi perdere tempo. E di depistarmi. Glielo lascio credere. Gli lascio margine di convincimento sino a quando trova un distributore buio e sconsolato tra Lunamatrona e Sanluri. Si parcheggia dietro. Nascosto. Quando immagina di essere riuscito a seminarmi, d’accordo con il capo forse a Bolzano, forse in Sardegna, forse in Puglia o Campania, di tutta fretta stacca la motrice, molla lì dietro il rimorchio e scappa a luci spente. Non lo seguo. Mi fermo. Avviso le forze dell’ordine. Invio la posizione. E prelevo il materiale rimasto per caso su un anfratto del cassone. Sapevo poco di questa vicenda, ma questa fuga, questo agire, questo progetto che sta devastando quelle terre, ora sono molto più chiari. Cosa e chi si nasconde dietro questo traffico di fanghi inquinanti, fognari, che stanno arrivando da ogni dove, dovrà scoprirlo chi di dovere. Dalle procure all’antimafia, dall’arpas ad una Regione inutile e ignava. Fermate questo agguato alla nostra terra. Fermate quei fanghi maledetti che hanno devastato la terra dei fuochi, fermateli prima che sia troppo tardi. Sotto terra ci sono le falde acquifere, c’è la natura, l’ambiente. E c’è chi specula su tutto questo, con troppi silenzi e molte connivenze. Rispettate la Sardegna. I suoi cittadini, la sua natura. Fuori gli inquinatori dalla nostra terra”.