Grande attesa per il concerto del sassofonista statunitense in tour mondiale dopo la pubblicazione del nuovo album e dell’autobiografia, arriverà in Italia per l’unico concerto con il suo quartetto, il 7 Marzo al Bflat Jazz Club  di Cagliari.

C’è una foto in bianco nero che racconta meglio di tante altre l’età dell’oro del jazz. È stata scattata da Art Kane quasi 60 anni fa, il 12 agosto del 1958, alle 10 di mattina, in una strada di Harlem, New York. Raffigura un bel po’ di bambini e 57 giganti. Giganti del jazz, da Charles Mingus a Thelonious Monk. E di quei miti della musica mondiale ne restano in vita soltanto due: Sonny Rollins e Benny Golson. E proprio Benny “Jazz Legend” Golson, novantanni anni, è alle prese con la sua ennesima nuova giovinezza: un disco  Horizon Ahead, un’autobiografia, Whisper Not, in cui ripercorre le sue tante vite da musicista.

Novantanni anni. Senza perdere un briciolo di energia, continuando a soffiare nel suo sax tenore con quel vibrato ruvido che sa intenerirsi nelle ballads più romantiche. Durante la sua lunga carriera, Golson ha incrociato tutti i più grandi, dal suo amico d’infanzia John Coltrane – frequentavano la stessa classe ai tanti altri con i quali ha condiviso la musica e il palco: Dizzy Gillespie, Clifford Brown, i Jazz Messengers di Art Blakey diventandone il direttore musicale, Art Farmer con cui fondò un delizioso Jazztet. Tutti fuoriclasse da libri di storia che purtroppo oggi si possono ascoltare solo sui dischi.

Ma Benny Golson è ancora qui, un artista che ha composto jazz standards famosi come Blues march, Stablemates, I remember Clifford, Whisper not, Along came Betty e Killer Joe, classici sui quali ancora oggi musicisti più giovani continuano ad improvvisare. Mr Golson continua a viaggiare per il mondo e ad interpretarli nei più importanti festival internazionali, con un’eleganza innata e un suono magnifico.

Ha partecipato anche al film “The terminal”, in cui interpreta il jazzista del cui autografo va a caccia il protagonista Tom Hanks.

“Un giorno mi ha chiamato Spielberg, dicendomi che mi seguiva fin dai giorni dell’università e che il suo pezzo favorito era il mio I remember Clifford. È stato un privilegio raro partecipare a quel grande film con un finale così romantico”.