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Chi cambia sesso ha diritto a scegliersi un nuovo nome, senza accontentarsi del cambio di desinenza – dal maschile al femminile o viceversa, a secondo della transizione sessuale – di quello avuto alla nascita. Lo sottolinea la Cassazione affermando che il nome è “uno dei diritti inviolabili della persona”, un “diritto insopprimibile”, e nella scelta – da parte di chi chiede una nuova identità anagrafica per ‘registrare’ il mutamento di sesso – deve “essere assicurato anche un diritto all’oblio, inteso quale diritto ad una netta cesura con la precedente identità”.

Così la Suprema Corte ha accolto la richiesta di un ex uomo, Alessandro, residente in Sardegna, che non voleva ‘ribattezzarsi’ Alessandra, come deciso dalla Corte di Appello di Torino, ma aveva scelto il nome di Alexandra.

Per i giudici piemontesi non esistono i presupposti per “un voluttuario desiderio di mutamento del nome” e occorre accontentarsi di “quello derivante dalla mera femminilizzazione del precedente”.

Di diverso avviso gli ‘ermellini’ che hanno dato il via libera ad Alexandra. “In accoglimento del ricorso – dispone il verdetto 3877 – va cassata la sentenza impugnata in punto di rettifica consequenziale del nome e, decidendo nel merito, va ordinato all’ufficiale di Stato civile del Comune di Cagliari di rettificare l’atto di nascita nel senso che, unitamente alla rettificazione del sesso da maschile al femminile, sia riportato il prenome ‘Alessandra’, in luogo di ‘Alessandro’, provvedendo alle annotazioni susseguenti”.

Si tratta di una “novità”, l’affermazione del diritto alla scelta del nome dopo la transizione sessuale, rilevano gli stessi ‘ermellini’ condividendo i motivi di ricorso sostenuti dagli avvocati Giulia Perin e Alexander Schuster, paladino delle lotte ‘arcobaleno’.

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