Il discorso di Conte di ieri sera è vergognoso. Dopo i primi 10 minuti di supercazzole condite con “viva l’Italia”, “orgoglio Italia”, “modello Italia”, “se vuoi bene all’Italia odia il virus” e dopo slanci letterari sull’INPS che in un mese avrebbe elaborato domande che di solito impiega cinque anni è arrivata finalmente la vera notizia: nessuna regionalizzazione, la Fase 2 non è altro che la Fase 1 con la differenza che al Nord sarà il tana liberi tutti.

Sono passati 2 mesi dall’inizio della quarantena e non è cambiato nulla, non c’è un vaccino e il sistema sanitario continua ad essere quello di sempre, senza alcuna trasformazione strutturale sotto la tanta retorica sugli eroi medici ed infermieri e sul bel paese del Bengondi che arriverà “dopo”.

Per giorni si era parlato di una riapertura regionalizzata, cioè proporzionata alle specifiche situazioni relative ad ogni Regione. Il buon senso e la logica avrebbero voluto così: tutti si aspettavano una riapertura misurata alle diverse realtà delle diverse aree dello Stato.

Poi il 21 aprile è intervenuto il presidente della Regione Fontana che ha tuonato su Radio24 contro la riapertura regionalizzata: “credo che sia una riapertura monca, zoppa, che non consentirebbe un equilibrato sviluppo alle Regioni che aprono. C’è una tale interconnessione tra le filiere produttive e tra le varie attività commerciali che c’è veramente il grosso rischio che faccia più danni che vantaggi una apertura a macchia di leopardo. Sono convinto che la riapertura debba avvenire quando il rischio del contagio si sia concluso”.

C’è da chiedersi quando mai hanno chiuso qualcosa nel Lombardo-Veneto? Subito dopo il DPCM del 22 marzo che elencava le attività di produzione dei beni di prima necessità, soltanto nelle province di Bergamo e Brescia hanno ottenuto subito la deroga migliaia di aziende. Province che da sole hanno sempre contato praticamente la metà dei positivi al Covid-19 in Lombardia. Aziende dove, nella maggior parte dei casi, mancavano i più rudimentali dispositivi di sicurezza.

Del resto è successo fin da subito che il presidente di Confindustria Boccia dettasse legge e che riuscisse addirittura a far correggere DPCM già divulgati e pubblicati. Altro che “Sblocca paese”, il nuovo DPCM sarà lo “Sblocca Lombardo-Veneto”: Le manifatture e le costruzioni annunciate da Conte con grande enfasi sono i settori trainanti del nord, basta che si attengano ad un protocollo che tanto nessuno rispetterà, come nessuno ha mai rispettato le norme sul lavoro e le norme anti pandemia degli ultimi DPCM. Oppure in questo mese siamo diventati la Svizzera o la Danimarca e nessuno se n’è accorto?

Al sud, in Sardegna e in Sicilia invece, dove è presente una piccola e micro impresa, una larga fetta di lavoro informale e a nero, piccole attività commerciali e al dettaglio, lavoro stagionale legato alla stagione turistica, starà tutto fermo e chiuso. Al di là della retorica resta il fatto che al 26 aprile: metà delle Cassa Integrazioni non sono arrivate; migliaia di domande per il bonus p.iva sono ferme; sugli affitti neanche una parola; reddito di emergenza o di quarantena neanche a parlarne; neanche sulle utenze è uscita una sola parola; finanziamenti e prestiti idem.

In Lombardia hanno densità di popolazione dieci volte tanta rispetto alla Sardegna (421,6 per km² contro 68 per km²) e una curva di contagio catastrofica, però le loro attività principali non hanno mai cessato e ora aprirà tutto. In Sardegna tutto chiuso. Tutti a casa. Se no multe e botte, con la complicità di sceriffi, podestà e ras locali.

Il nostro presidente della Regione Autonoma della Sardegna, eletto senatore in Lombardia e nominato dal capo storico del Lombardo-Veneto, non ha nulla da dire? Vorremmo sbagliarci ma ci sembrano purtroppo attualissime le parole scritte 100 anni fa da Gramsci:

L’isola fu letteralmente rasa al suolo come per un invasione barbarica (…) e piovvero invece gli spogliatori di cadaveri, che corruppero i costumi politici e la vita morale.

Lo Stato italiano, nella sua storia, quando ha dovuto scegliere quale pedina sacrificare ha sempre scelto la Sardegna (dal 1720), il sud e la Sicilia (dal 1861). Così adesso, per mantenere la curva media del contagio sotto i livelli di guarda e accontentare contemporaneamente i veri padroni dello Stato, manda Conte in prima serata a raccontare la favoletta della Fase 2 e dell’unità nazionale.

Stiamo iniziando a perdere la pazienza. Prepariamoci alla ribellione, perché i sardi non vogliono morire né di inedia né di lombardovenetismo!

 

L’opinione di Caminera Noa