Ancora polemiche sulla sanità sassarese. Alla denuncia della capogruppo del M5s in Consiglio regionale, Desirè Manca, sul replicarsi di errori protocollari che al Santissima Annunziata starebbero impedendo al virus di continuare a entrare in ospedale, replicano il direttore del pronto soccorso, Mario Oppes, e Antonello Serra, dirigente medico cui l’Azienda ospedaliera-universitaria ha affidato un sopralluogo dopo l’episodio della ultraottantenne ricoverata giorni fa per un ictus e risultata poi prima positiva e poi nagativa al covid-19.

“I nostri dipendenti hanno usato i dispositivi di protezione individuale raccomandati dall’Istituto superiore di Sanità”, dicono Oppes e Serra. “Al pronto soccorso si seguono due percorsi distinti – precisa Oppes – uno per i casi sospetti e uno per chi non rientra nei criteri di sospetto”. Come spiega il medico, “attraverso la valutazione di criteri clinici ed epidemiologici i pazienti vengono indirizzati a uno dei due percorsi durante il pre-triage e il triage”.

Precisamente, “i sospetti vengono gestiti in un’area di isolamento in cui il personale usa tuta impermeabile con cappuccio, maschera FFP2 o FFP3, doppi guanti, stivali, occhiali e visiera protettivi, mentre nell’altro percorso gli operatori indossano sovra-camice monouso, copricapo, guanti e mascherina chirurgica”. In ogni caso “si seguono le altre misure di prevenzione del contagio, come disinfezione di mani, strumenti e ambienti – aggiunge il responsabile – e i pazienti indossano la mascherina chirurgica”.

Per Mario Oppes e Antonello Serra, “la paziente non aveva le caratteristiche previste dal Ministero della Salute per eseguire il tampone, fatto precauzionalmente appena possibile”. Ma “ogni ritardo avrebbe ingiustificatamente compromesso le possibilità di sopravvivenza della paziente affetta da patologia tempo-dipendente, che richiede il rispetto di precisi limiti temporali per l’efficacia dei provvedimenti – puntualizzano – non sarebbe stato mai possibile vincolare il percorso al risultato del tampone”. In ogni caso, “il percorso seguito – concludono – ha evitato contatti a rischio con altri pazienti”.

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