Lo smaltimento dei dispositivi di protezione individuale (dpi) deve avvenire, dove possibile, attraverso l’incenerimento. A stabilirlo, nelle linee guida pubblicate lo scorso 14 marzo, è stato l’Istituto superiore di sanità (Iss). Guanti e mascherine, insomma, devono terminare la loro breve esistenza negli inceneritori (o nei termovalorizzatori, che sono impianti di incenerimento che sfruttano la combustione per produrre energia).

Tuttavia, il percorso dei dpi verso la termodistruzione non è sempre lo stesso: si distinguono infatti a seconda di chi li ha utilizzati. I rifiuti prodotti in ambito ospedaliero prendono una strada diversa da quelli prodotti in ambito domiciliare.

In questo articolo vi spieghiamo le diverse casistiche (che sono fondamentalmente tre – le persone ricoverate in ospedale, quelle in quarantena o isolamento domiciliare e quelle che non sono risultate positive al coronavirus) e le norme per lo smaltimento dei loro rifiuti. Abbiamo poi chiesto a due diverse società (Iren e EcoEridania) che si occupano anche dello smaltimento dei rifiuti negli inceneritori se l’incremento di dpi è davvero un problema, ovvero se rappresentano quella ‘bomba ecologica’ di cui spesso si parla.

A casa o in ospedale, sani o malati: questi i casi

Partiamo dal caso più comune, ovvero le mascherine e i guanti utilizzati nelle abitazioni e sul posto di lavoro da persone che non risultano contagiate dal coronavirus. L’Iss raccomanda che i dpi vengano gettati nel bidone della raccolta indifferenziata (mai, insomma, in quello della carta o della plastica) e che vengano chiusi dentro “due o tre sacchetti possibilmente resistenti” messi “uno dentro l’altro all’interno del contenitore che usi abitualmente”.

Nel caso di persone in quarantena o isolamento domiciliare (cioè sottoposte al divieto di uscire di casa perché risultate positive al Sars-Cov-2 o perché venute in contatto con soggetti positivi) viene invece sospesa del tutto la raccolta differenziata: significa che non si deve neppure dividere il vetro dalla plastica, o la carta dall’alluminio: ogni rifiuto deve andare nell’indifferenziato.

Anche se può sembrare strano, la gestione di queste due tipologie di rifiuti non sortisce nessun’altra differenza: entrambe rientrano nella categoria dei rifiuti solidi urbani, entrambe vengono ritirate dagli stessi operatori delle aziende che si occupano della raccolta, ed entrambe finiscono insieme nello stesso inceneritore.

Diverso, come anticipato, è il caso di guanti e mascherine usate negli ospedali. Lì vengono considerati rifiuti pericolosi e seguendo un percorso di sterilizzazione.

Dpi: una bomba ecologica?

Secondo le stime del Politecnico di Torino (del 27 aprile scorso), per le sole mascherine chirurgiche “è possibile stimare che il bisogno di tutte le imprese del solo Piemonte potrebbe raggiungere una cifra teorica prossima a 80 milioni di pezzi monouso/mese. […] Le imprese italiane nel loro complesso potrebbero avere un bisogno mensile di circa 12 volte tale entità”, cioè quasi un miliardo di mascherine al mese.

Abbiamo quindi chiesto a due società che gestiscono impianti di incenerimento, una specializzata nei rifiuti ospedalieri e l’altra nei rifiuti solidi urbani, di spiegarci come avviene lo smaltimento, e se l’improvviso aumento della quantità di questo genere di rifiuto rappresenta un problema. A quest’ultima domanda, la loro risposta è stata chiara: no, non loè.

Il termovalorizzatore di Torino, che gestisce i rifiuti normali

La prima società è Iren, che detiene la quota principale del Trm, il termovalorizzatore del Gerbido, nella periferia di Torino. Ha una capacità di 500 mila tonnellate all’anno. Da Iren fanno sapere che “la termovalorizzazione è a oggi la soluzione migliore” per diverse ragioni: innanzitutto perché il materiale “viene incenerito e quindi annientato delle potenziali contaminazioni”; poi perché “viene trasformato in energia elettrica”; terzo – ed è una particolarità del caso torinese – perché “l’energia termica prodotta dalla combustione viene usata per far funzionare l’impianto di teleriscaldamento” nella cintura del capoluogo, a servizio di 160.000 famiglie.

Come funziona il termovalorizzatore?

In un normale impianto di incenerimento i rifiuti che arrivano a bordo dei camion vengono inizialmente sottoposti a un controllo radiogeno. Nel caso in cui il valore di radioattività sia superiore a quello stabilito per legge (cosa che può accadere per diversi motivi – capita ad esempio che tracce di radio vengano riscontrate nei rifiuti prodotti da pazienti sottoposti a chemioterapia), si attende che l’elemento decada fino a scendere sotto la soglia stabilita. A quel punto i rifiuti vengono collocati in una fossa profonda decine di metri, da cui vengono successivamente prelevati da bracci meccanici che li collocano sulle linee di incenerimento.

“È importante che la raccolta differenziata venga fatta bene, affinché da noi arrivi soltanto ciò che davvero non è recuperabile. Bruciare carta, vetro e plastica non è conveniente né dal punto di vista ambientale né da quello economico”, prosegue l’azienda.

Anche mascherine e guanti provenienti dai rifiuti domestici, secondo quanto detto in precedenza, seguono lo stesso identico percorso. Incenerire rifiuti potenzialmente contaminati (nel caso di persone asintomatiche) può essere pericoloso? Iren fa sapere che “gli impianti sono sottoposti a controlli rigidissimi 24 ore su 24” anche da soggetti esterni (nel caso di Torino dall’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale, Arpa), e che “le linee verrebbero subito bloccate se i valori di riferimento dovessero venire superati”. In ogni caso, fa sapere l’azienda, di pericoli non ce ne sono: nei termovalorizzatori si arriva a temperature altissime, sufficienti ad azzerare la carica virale degli oggetti.

“Siamo attrezzati per adempiere alle direttive dell’Iss”, conclude l’azienda che gestisce il termovalorizzatore torinese. E poi, aggiunge, al momento per i dpi non esista una filiera dedicata che porta all’incenerimento.

EcoEridania, che smaltisce i rifiuti ospedalieri. E che vorrebbe la filiera dedicata

EcoEridania è il primo operatore a livello europeo nel trasporto e nel trattamento dei rifiuti di origine ospedaliera e gestisce 23 impianti in tutta Italia e con una capacità complessiva di smaltimento pari a oltre 100.000 tonnellate l’anno. Secondo l’azienda, “guanti e mascherine ci proteggono dal potenziale rischio biologico e quando diventano un rifiuto vanno trattati come rifiuti speciali, ma ancor di più andrebbero trattati come rifiuti pericolosi (ricadendo nel campo di applicazione del DPR 254/2003)”. In altre parole, EcoEridania ritiene che tutti i dpi utilizzati in questi mesi (anche dalle persone che non si trovano negli ospedali) debbano essere smaltite secondo il procedimento normalmente riservato ai rifiuti ospedalieri.

Come funziona lo smaltimento dei rifiuti sanitari?

“I rifiuti sanitari, pericolosi perché potenzialmente infetti per la loro provenienza, vengono trattati con una rigida procedura – spiega l’azienda – Vengono messi in sacchi e poi in contenitori che vengono raccolti e portati in impianti dedicati e autorizzati a smaltire questo genere di rifiuti”. In sintesi, “questi rifiuti vengono sterilizzati e successivamente finiscono nei forni, cioè nei termovalorizzatori, dove vengono bruciati producendo energia che viene immessa nella rete. Inoltre, i contenitori che utilizziamo per la raccolta, oltre ad essere prodotti nel nostro impianto di fabbricazione, vengono sanificati ad ogni utilizzo e alla fine del loro ciclo d’uso o in caso di rottura vengono triturati e ristampati per consentirne il recupero”.

Tornando alla domanda clou – “mascherine e guanti rappresentano una bomba ecologica?” – l’azienda è convinta che non ci sia un problema nello smaltimento di questi rifiuti, e per dimostrarlo ha fatto i conti: “Calcolando un peso medio di 4 grammi a mascherina, e che tutte le mascherine avessero un utilizzo monouso (con smaltimento giornaliero e quindi non lavabili), la produzione su base annua di nuovi rifiuti sarebbe di circa 52.000 tonnellate. Tale capacità è ampiamente gestibile all’interno della capacità di smaltimento degli impianti esistenti, anche se tutta la produzione fosse smaltita nel circuito dei rifiuti speciali pericolosi”, sostiene EcoEridania.

“A questa quantità andrebbero aggiunti altri dpi monouso, come ad esempio guanti, copricapo, teli, che cautelativamente potrebbero essere stimati in altre 50.000 tonnellate”, prosegue l’azienda. “In conclusione, si possono stimare ulteriori 100.000 tonnellate all’anno di nuovi rifiuti”, una quantità “trascurabile” in confronto alla quantità totale dei rifiuti gestiti in Italia.

Ma quindi un problema c’è oppure no?

Secondo Iren, il problema a oggi più concreto è causato dall’incivilità di chi abbandona mascherine e guanti in terra, fuori dai bidoni dell’immondizia: non è soltanto questione di decoro urbano o di salvaguardia dell’ambiente, ma anche un rischio sanitario.

Secondo il presidente Andrea Giustini, presidente di EcoEridania, il problema è più grande e sta nel fatto che questi materiali, finendo nella raccolta dell’indifferenziato, non vengono smaltiti correttamente. “La mascherina indossata sul posto di lavoro è un rifiuto speciale per norma, da sempre, anche prima del Covid-19”, spiega Giustini. “Noi ci siamo resi disponibili ad andare a ritirare i rifiuti nelle case delle persone contagiate seguendo le norme previste per lo smaltimento dei rifiuti speciali. Sarebbe già un bel passo avanti cominciare questa tipologia di raccolta da loro, cioè dalle abitazioni di chi è malato e in quarantena domiciliare, e anche dai luoghi di lavoro”.

Abbiamo chiesto un parere anche a Alessandro Battaglino, presidente della discarica Barricalla di Torino: le discariche, infatti, rappresentano una soluzione complementare agli inceneritori per quanto riguarda lo smaltimento di rifiuti. “Il tema è importante”, sostiene Battaglino, ma “la soluzione più ragionevole e logica, al momento, è che vadano all’incenerimento. Se dovremo vivere il resto della nostra vita con le mascherine, allora bisognerà immaginare che questo tipo di rifiuto venga raccolto in maniera diversa. Ma questa fase io la considero emergenziale”.

L’incenerimento, insomma, sembra mettere d’accordo un po’ tutti. A far discutere maggiormente è invece l’eventualità di smaltire tutti i dpi (anche quelli non provenienti dagli ospedali) come rifiuti pericolosi. “I loro costi di raccolta, trasporto e smaltimento sono allucinanti  – conclude Battaglino – Parliamo di 1.200-1.300 euro alla tonnellata. Per i rifiuti pericolosi che trattiamo a Barricalla, parliamo al massimo di 130-150 euro alla tonnellata”.

Fonte Agi.it