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Le discussioni sul Recovery fund sono tutt’altro che un ricordo lontano e l’Ue si spacca, con da una parte i Paesi come Olanda, Austria, Svezia e Danimarca che continuano a difendere i limiti da loro imposti, una parte dei Visegrad (Ungheria e Repubblica Ceca) si è fatta più esplicita nelle critiche puntando ad una fetta più grossa di aiuti e l’Italia che, nella persona del premier Giuseppe Conte, ha avvertito: “Non possiamo permetterci compromessi al ribasso”. Tutto intorno, tra gli altri partner, c’è un sottobosco di mugugni, con alleanze a geometrie variabili su questo o quell’elemento della proposta da 750 miliardi messa sul tavolo dalla Commissione di Ursula von der Leyen.

In questo scenario, nessuno si fa illusioni sul risultato della videoconferenza dei leader di venerdì: sarà un summit interlocutorio, come lo stesso presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha spiegato fin dal momento della convocazione.
Ma al tempo stesso la speranza è che possa essere uno snodo centrale, per restringere il campo del negoziato, con l’obiettivo di raggiungere un’intesa entro fine luglio, o comunque prima della pausa estiva.

“Se ritarderemo le risposte potremo certificare il fallimento del mercato unico e di altri pilastri dell’Ue”, ha messo in guardia Conte. Un punto ben chiaro ai vertici delle istituzioni Ue, Michel, von der Leyen e David Sassoli, ma anche al presidente Emmanuel Macron e alla cancelliera Angela Merkel (il governo di Berlino ha appena varato una nuova manovra finanziaria che fa salire il rapporto debito/Pil al 77% nel 2020), impegnati a scongiurare un rinvio a settembre anche per evitare sovrapposizioni con l’altrettanto difficile trattativa sulle relazioni commerciali post-Brexit con Londra.