Un uomo muore mentre l’ambulanza percorre la statale 125 da Muravera al Policlinico di Monserrato e l’elicottero interviene a Piscinas per un trauma discorsivo alla caviglia. Si potrebbe credere tranquillamente che si tratti di una barzelletta ma le due notizie sono maledettamente vere, seppur temporaneamente non collegate. L’assessore dichiara che “la Sardegna sconta adesso un problema di costi che, dalle nostre previsioni, dovrebbe essere intorno al miliardo di buco nel bilancio regionale, tra minori entrate e spese aggiuntive per l’emergenza coronavirus”.

Urge quindi raccattare soldi a destra e sinistra. Si cerca di chiudere le stalle dopo che i buoi sono scappati. Storia vecchia, solo che qui di mezzo c’è la vita dei malati sardi. E mentre questi restano senza terapie, senza cure, senza assistenza (del resto sono fardelli pesanti gli anziani da curare), in Consiglio regionale c’è chi ha il barbaro coraggio di presentare una legge sulla disciplina per la raccolta dei funghi o discutere per re ed ore sulle spezie da mettere sui pesci. O come la Giunta che spende 15,1 milioni (più Iva) con la Demar Hospital di Reggio Calabria per due milioni di chirurgiche (93 centesimi l’una), un milione di Ffp2 (a 5,45 euro) e un milione di Ffp3 (a 7,8 euro) per un totale di 18.5 milioni di euro. Ecco se non si trattasse di notizie vere sarebbe legittimo pensare ad una barzelletta.

Non entriamo nel merito perché non ci compete, ma quantomeno il dubbio dell’opportunità c’è: un 73enne in fin di vita in ambulanza da Muravera a Cagliari e una donna in elicottero da Piscinas a San Gavino per la distorsione di una caviglia? E di esempi ne potremmo fare tanti altri. Misteri, misteri grandi come una casa, che pesano come macigni!

E’ la barzelletta di questa giunta regionale incapace perfino evitare ripercussioni sull’assistenza sanitaria. E’ lo stresso assessore della Sanità che lo dice: “Sarà difficile da sostenere, senza avere ripercussioni anche sul piano dell’assistenza sanitaria”. Ed è tutto vero purtroppo. Il caso del 73enne morto oggi in ambulanza ne è l’esempio lampante. Chiuso il pronto soccorso del San Marcellino di Muravera che non può trattare un codice rosso, a San Gavino vogliono chiudere la diabetologia, a La Maddalena (come a Muravera) si nasce in auto o in elicottero, gli ospedali di Isili, Ghilarza e Ozieri sono ridotti a poco più di un poliambulatorio. Ma questa è civiltà? E’ possibile che nel 2020 si debba morire per strada in ambulanza? O è possibile che una puerpera debba percorrere oltre 100 km per far nascere il proprio figlio? E non più dunque in sicurezza come prevede la legge, che impone un minimo di 500 parti all’anno in un reparto di ostetricia, ma in condizioni di totale insicurezza per la distanza da percorrere. Perché se si muore di infarto, o di lesioni o si partorisce in ambulanza perché la 125 è intasata allora si deve obbligatoriamente decidere di tenere aperti i presidi ospedalieri periferici al servizio della collettività. Perché la vita umana non ha prezzo.

La storia è vecchia, la sanità è un costo che bisogna tagliare in nome della razionalizzazione della spesa pubblica. Iniziò Renato Soru, rinunciando ai soldi dello Stato perché potevamo “farcela da soli”, e chiamò la proconsole dei Savoia Nerina Dirindin che iniziò le sforbiciate degli ospedali. Cartina alla mano: Muravera è troppo vicina a Cagliari per poter tenere un ospedale aperto, quello di San Gavino idem, quello di Isili è vicino a Nuoro, Ghilarza ad Oristano, Alghero e Ozieri a Sassari. E allora chiudiamoli, senza pensare che le strade della Sardegna non sono quelle della pianura Padana. E intanto si iniziava a progettare il polo privato di Olbia.

Hanno proseguito poi tutti gli altri, chi più chi meno scientemente, fino ad arrivare ad Antonello Arru che ha ramazzato posti letto in tutti i presidi sardi per darli al Mater. Poi è arrivato quest’altro proconsole lombardo che in meno di un anno è riuscito a far ancora meglio del predecessore. Complice la pandemia, non c’è dubbio, ma di suo ci ha messo e ne sta mettendo tanto. Certo, i conti devono tornare, ma prima dei conti bisogna curare le persone. Misteri, dicevamo, che pesano come macigni, ma evidentemente non sulla coscienza della (e delle ex) Giunta regionale.