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La condanna a due anni di reclusione dell’ex presidente del Cagliari Massimo Cellino per violazioni paesaggistiche è giustificata dall’entità degli abusi legati alla costruzione dello stadio, definiti ciclopici dai giudici. Ma il peculato non c’è perché la strada di collegamento all’impianto sportivo, la cabina elettrica e la recinzione – costati alle casse pubbliche 360mila euro – erano opere che sarebbero comunque rimaste di proprietà del Comune di Quartu Sant’Elena, esattamente come il complesso sportivo di Is Arenas che sarebbe tornato al Comune al termine della convenzione con il Cagliari Calcio. Sono queste le ragioni chiarite dal presidente della Prima sezione penale del tribunale di Cagliari, Giorgio Altieri, che ha depositato – come anticipa un noto quotidiano sardo – oltre 100 pagine di motivazioni della sentenza che a maggio aveva condannato l’attuale patron del Brescia a due anni per le vicende legate alla realizzazione dello stadio di Is Arenas a Quartu, che avrebbe dovuto sostituire il Sant’Elia di Cagliari, divenuto inagibile.

“La gravità del pericolo è massima – scrivono i giudici in merito agli abusi paesaggistici – sia per il particolare pregio ambientale della zona in cui avvenne l’intervento, anche se non si può ignorare che c’era già uno stadio, sia per le dimensioni ciclopiche dell’abuso. Non si tratta della chiusura di una veranda ma della realizzazione di uno stadio da calcio di serie A”. Cellino era stato poi assolto per non aver commesso il fatto dalla più grave accusa di peculato, così come erano cadute tutte le accuse all’ex sindaco di Quartu Mauro Contini e all’ex assessore ai Lavori Pubblici Stefano Lilliu.

“Terminata la concessione – conclude il giudice Altieri – le opere pubbliche sarebbero state strumentali all’utilizzo dello stadio comunale da parte dell’ente proprietario”. Dunque la strada, la cabina e la recinzione che la Procura riteneva fossero state realizzate dal Comune a vantaggio del Cagliari, erano nei fatti opere pubbliche: da qui l’assoluzione per il peculato.