Graziano Mesina, 78 anni, era stato scarcerato tra le polemiche il 7 giugno 2019 e aveva fatto ritorno a Orgosolo, suo paese natio, dopo sei anni trascorsi nel carcere nuorese di Badu e Carros. Fu liberato per decorrenza dei termini di custodia cautelare a causa del mancato deposito delle motivazioni della sentenza di condanna in appello a 30 anni per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga.

Le motivazioni arrivarono poi a ottobre dello stesso anno: 174 pagine scritte dal presidente della Corte d’appello di Cagliari Giovanni Lavena in cui si stabiliva che il ricorso presentato dalle avvocate dall’ex primula rossa del banditismo sardo, Beatrice Goddi e Maria Luisa Vernier, non scalfiva il quadro probatorio raccolto dalla Direzione distrettuale antimafia che in primo grado portò alla condanna dell’imputato a 30 anni, sentenza confermata poi in appello. Per queste accuse Mesina era stato arrestato il 10 giugno 2013, a seguito di un blitz delle forze dell’ordine con l’arresto di due bande (26 affiliati in tutto, tra Orgosolo, Cagliari e la penisola).

Sino a quel giorno, e per nove anni, Mesina – dopo il suo passato da protagonista nel banditismo sardo di delitti ed evasioni – era stato di nuovo un uomo libero a seguito della concessione della grazia nel 2004 da parte dell’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Mesina era tornato a vivere nella sua Orgosolo dove aveva iniziato una nuova vita facendo anche la guida turistica nel Supramonte.