In tutta Italia, dalla Valle d’Aosta alla Sardegna, crescono i timori legati alla riapertura delle scuole in presenza. E’ quanto rivela l’Unsic, sindacato datoriale che grazie ai 2.100 Caf e ai 580 patronati distribuiti in tutta la Penisola riporta lo “stato d’animo” di buona parte del Paese reale.

Ad aprire un grande dibattito sul tema è stato un editoriale del presidente dell’Unsic, Domenico Mamone, che denuncia innanzitutto un’eccessiva presenza dei giudizi di politici e dei “presunti esperti” che finiscono “per annebbiare le opinioni, ben più interessate e intrise di una visione meno rosea, delle quattro categorie che costituiscono l’ossatura del mondo della scuola: i docenti, gli studenti, i genitori e il personale amministrativo, tecnico e ausiliario”.

Mamone si domanda se “saranno sufficienti i tre milioni di banchi nuovi di zecca, con rotelle o senza (alcuni, sembra, provenienti dalla Cina), o la decina di milioni di mascherine che saranno quotidianamente elargite negli edifici scolastici (chi paga?) a giustificare tanto ottimismo, spinto fino all’euforico ‘rischio zero’ o a quell’usurato ritornello dell’apertura ‘in sicurezza’, come se qualcuno possa auspicare il contrario”.

Quindi la domanda centrale: “Vale davvero la pena riaprire fisicamente gli istituti scolastici, specie quelli di secondo grado, se ciò equivarrà a spingere in alto i numeri dei ricoverati o, addirittura, dei decessi quotidiani per coronavirus? Se per i bambini più piccoli – aggiunge il presidente dell’Unsic – la scuola fisica assume anche una funzione di aggregazione e di supporto alla maturazione, nonché di necessità per genitori che lavorano, ben diverso è il discorso per gli adolescenti, il cui mondo è già totalmente segnato dalle nuove tecnologie e da un’autonomia gestionale nell’apprendimento che, per quanto preoccupante, è però un dato di fatto”. Mamone si domanda, quindi, se non sarebbe stato più utile, anziché acquistare milioni di banchetti (“e che fine faranno i milioni di banchi attualmente in servizio? – chiede), indirizzare gli investimenti per colmare quel divario digitale che nel nostro Paese – vedere i dati Eurostat – rappresenta una vera e propria emergenza per le sfide professionali future globali dei nostri ragazzi.

Sono giunte a centinaia le adesioni alla posizione del presidente dell’Unsic, anche da parte di alcuni di quegli 800 mila docenti (età media: 51 anni), poco meno di 70mila quelli che operano in Sardegna, che il 14 dovrebbero tornare in aula, benché si prevedano molte defezioni.

Numerosi interlocutori dichiarano che avrebbero preferito un’apertura delle scuole ad ottobre, come avveniva un tempo, che avrebbe permesso anche il prolungamento della stagione estiva, benefico per l’economia. Altri avrebbero preferito investimenti non sui banchi o sulle mascherine, bensì sulle attrezzature informatiche e sulla formazione digitale dei docenti, che colmerebbero le lacune emerse nella didattica a distanza. Altri ancora sono certi che a scuola non sarà possibile garantire la massima sicurezza con centinaia di studenti (otto milioni e 400mila il numero complessivo, poco più di 20mila in Sardegna) comunque ammassati in un edificio, un po’ come avvenuto con le discoteche.

Ad esprimere preoccupazione sono soprattutto genitori e nonni, da tempo anagraficamente entrati negli “anta”. Ma gli stessi studenti più avveduti temono di poter diventare fonte di contagio per i propri cari. Insomma, secondo buona parte dell’utenza dell’Unsic occorre prendere coscienza che rimaniamo in una fase di emergenza ed ogni richiamo al “ritorno alla normalità” appare solo un palliativo.