“Al principio di laicità dello Stato Cossiga è rimasto sempre fedele. Nel suo dichiararsi “cattolico liberale” c’era un ossequio, un rispetto per la casa comune e per la sovranità delle istituzioni della Repubblica, che non concedeva spazio a tentazioni confessionali o integralismi di sorta”. Lo ha detto il presidente Sergio Mattarella parlando all’Università di Sassari in occasione dei 10 anni dalla morte di Francesco Cossiga. “Convincimenti – ha aggiunto – che approfondiva volentieri anche attraverso gli amati classici del diritto e della filosofia anglosassone, ragioni non secondarie della sua capacità di dialogo politico, nel partito in cui militava e con personalità di partiti avversari”.

Per Francesco Cossiga “la famiglia è stata anche la palestra dove ha potuto coltivare, sin da giovane, la passione politica. Palestra nella quale si è allenato al pluralismo, al confronto, alla laicità delle scelte” e dove, ha poi sottolineato lo stesso presidente Cossiga, “l’antifascismo era un fatto discriminante non solo dal punto di visto politico ma morale”.

Per Francesco Cossiga “idealità e pragmatismo, fedeltà ai principi e attenzione alla concretezza della vita sociale divennero i parametri del suo lavoro parlamentare e della sua militanza politica. A questa scuola si formava la classe dirigente di governo: nel confronto talvolta aspro sui principi ma sempre orientato a composizioni – sul piano delle norme come su quello dei riflessi sociali – capaci di evitare conflitti laceranti e di sospingere il Paese sulla strada della stabilità e di un maggior benessere”.

“Francesco Cossiga fronteggiò l’attacco terrorista alla Repubblica e difese le istituzioni democratiche con il consenso del Parlamento, nel rispetto dello Stato di diritto e cercando di preservare, come bene indispensabile, l’unità delle forze democratiche nella lotta al terrore e all’eversione. Il ricorso a norme e strumenti nuovi restò sempre iscritto nel solco della difesa dei valori e dell’ordine costituzionale. E il contrasto alle vulgate insurrezionaliste, così come alla inaccettabile predicazione equidistante di fautori del “né con lo Stato, né con le Br”, fu da parte di Cossiga sempre netto e scevro da ipocrisie e opportunismi”. “Il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, con la strage degli uomini di scorta, fu un colpo tremendo e uno spartiacque nella vita di Francesco Cossiga. Come fu uno spartiacque nella storia della Repubblica. Il ministro Cossiga si adoperò per la liberazione di Moro, suo amico e punto di riferimento politico, ma gli sforzi non giunsero al risultato sperato e la sofferenza fu acuita da quel susseguirsi di lettere di cui ebbe a riconoscere tratti di autenticità. Al ritrovamento del corpo dello statista assassinato dette esecuzione al suo proposito di dimissioni, “assumendosi la piena responsabilità politica dell’operato del dicastero”.

“Nel 1983 Francesco Cossiga che, con il suo secondo governo, aveva ripreso il dialogo con il Partito Socialista, venne eletto Presidente del Senato con una larghissima maggioranza. Alla guida di Palazzo Madama, Cossiga si fece apprezzare per solidità e imparzialità. Questa fu premessa all’elezione a Presidente della Repubblica, il 24 giugno 1985, che avvenne al primo scrutinio – cui posso ricordare di aver personalmente partecipato – con il consenso di oltre tre quarti dei grandi elettori, espressione di volontà unitaria nel sostenere la Presidenza della Repubblica come presidio di coesione del Paese attorno ai valori della Costituzione”. Lo ha detto il presidente Sergio Mattarella parlando all’Università di Sassari in occasione dei 10 anni dalla morte di Francesco Cossiga.

“Il Presidente Cossiga esercitò le prerogative costituzionali con le qualità che derivavano dalla sua lunga esperienza, e anche con la puntualità di uno studioso di diritto. Ribadì, con lettera al Presidente del Consiglio incaricato Andreotti, i poteri che la Costituzione conferisce al Capo dello Stato nella nomina dei ministri e descrisse il vaglio presidenziale come non comprimibili”.

Francesco Cossiga “nel discorso di insediamento aveva assunto la gente comune come punto di riferimento per saldare passato e futuro, auspicando una nuova solidarietà “per valori non solo personali ma soprattutto comunitari”. Per avere speranza civile – disse – “c’è bisogno di una giustizia sociale che non sia calata dall’alto ma condivisa e prodotta dai cittadini”. Aggiungendo che “lo sviluppo non si traduce in speranza civile se non si unisce alla capacità di risolvere i due grandi problemi della nostra vita nazionale: la disoccupazione e l’arretratezza delle aree meridionali “.