Dietro l’efficiente macchina organizzativa del Carbonia Film Festival c’è il lavoro di oltre 50 persone. Tra queste un piccolo esercito di giovani e talentuosi professionisti, tutti carboniensi. Come ad esempio le social media manager Laura Pilloni e Monica Dessì, il responsabile staff e sala Marco Marras, il webdesigner Matteo Pittau, l’animatrice e grafica Erica Floris. Oltre ai 35 ragazzi e ragazze da tutta Italia coinvolti nella giuria dei corti e in un programma a loro dedicato.

“Il Carbonia Film Festival è una rassegna di respiro internazionale che sempre più punta alla crescita e valorizzazione dei giovani, coinvolgendoli in prima persona – dice Paolo Serra, direttore del Centro Servizi Culturali della Società Umanitaria di Carbonia che ha organizzato la manifestazione assieme alla Cineteca Sarda – Hanno messo in campo le loro professionalità per la buona ottima riuscita del festival”. Sei giornate tra proiezioni e incontri in presenza e in streaming costruite su due temi portanti, lavoro e migrazioni. Temi radicati in una città testimone di fenomeni migratori sin dalla sua fondazione.

“Carbonia nasce a bocca di miniera – racconta Serra – per ospitare migliaia di persone giunte da ogni dove per lavorare nell’attività estrattiva in una fase iniziale immigratoria a cui è seguita necessariamente una fase migratoria per la chiusura delle miniere prima e per la crisi industriale oggi”. Una città che ha visto tanti giovani partire quando il lavoro è venuto a mancare. Ora però si comincia a vedere la luce. “Il progetto della Fabbrica del Cinema per la conservazione, produzione e diffusione della memoria storico-sociale audiovisiva del territorio, a cui il festival è collegato, è il punto cardine per la candidatura di Carbonia a Capitale Italiana della Cultura 2022 – spiega ancora Serra – Se opportunamente sostenuto, può rappresentare quella opportunità per la rinascita di questa città e frenare la fuga di talenti”. Ma Carbonia Film Festival è anche uno “spazio prezioso per dare voce e accogliere tanti registi in un momento in cui gli spazi per la cultura e per il cinema si assottigliano”, sottolinea Daniele Atzeni, autore di “Inferru”, toccante e immaginifico monologo esistenziale di un minatore che racconta il suo viaggio tra le memorie del sottosuolo. Il film è stato presentato domenica al Teatro Centrale assieme ad altri due preziosi lavori: “Padenti” di Marco Antonio Pani e “Progresso Renaissance” di Marta Anatra.