Il Mediterraneo potrebbe diventare uno dei mari più inquinati al mondo. Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Research Letters, a cui ha partecipato Alessandro Cau, ricercatore di Ecologia al Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università di Cagliari. È stato dimostrato che oltre i 1.000 metri di profondità, spesso la biomassa pescata con lo strascico (pesci, crostacei, molluschi) è uguale o inferiore a quella dei rifiuti. Insomma, si rischia di pescare più rifiuti che pesci.

Lo studio è stato effettuato due anni dopo l’importante workshop sul tema organizzato a Bremerhaven (Germania) dal Joint Research Center della Commissione Europea e l’Alfred Wegener-Institut. Come si legge anche sul sito dell’Università di Cagliari, numerosi siti dei nostri mari hanno suscitato “l’interesse della comunità scientifica per la loro posizione in prossimità di alcune tra le rotte navali più trafficate del Mediterraneo e del mondo”, come il canyon di Nora (Pula) e le bocche di Bonifacio (tra Sardegna e Corsica). Questi siti ospitano una ricchissima biodiversità che purtroppo è minacciata dalle attività umane e dalla pesca. Sul fondo di entrambi – anche a 450 metri di profondità – sono stati ritrovati diversi oggetti, come pneumatici e altri detriti. Plastiche, metalli, vetro, ceramica, attrezzature da pesca, tessuti e carta sono tra i materiali più abbondanti.

Lo studio indica come i rifiuti stiano aumentando nei fondali marini di tutto il mondo: in alcuni casi la loro densità sarebbe addirittura paragonabile a quella delle grandi discariche presenti sulla terraferma. Secondo gli esperti questo trend è destinato a continuare, tanto che entro i prossimi 30 anni il volume dei rifiuti marini potrà superare i tre miliardi di tonnellate. Delle milioni di tonnellate di rifiuti che entrano in mare ogni anno, meno dell’1% è visibile, perché viene spiaggiato o galleggia sulla superficie, mentre il restante 99% finisce sul fondo.