“Questi fiori sono in memoria di Giovanni Antonio Vacca e di tutti coloro che non sono tornati. Loro non ci sono più, io sono sopravvissuto per miracolo all’inferno dei lager nazisti per poter raccontare quella immane tragedia. Per dar voce ai tanti morti nelle camere a gas, o di stenti, fame, freddo, violenze”. Le parole provengono da Gesuino Paba, di anni 96 e originario di Aritzo, mentre depone il mazzo di primule sulla Pietra d’inciampo a Torino per ricordare l’avvocato antifascista di Ovodda, deportato come prigioniero politico e assassinato a Buchenwald. Un luogo purtroppo a lui familiare. Lo stesso Paba finì in quel lager ma riuscì a tornare vivo.

“Ero davanti alla porta della camera a gas, rassegnato a morire, quando mi son sentito tirare per un braccio fuori dalla fila, unico di tutto il gruppo. E’ stato un miracolo a riportarmi a casa, le incessanti preghiere di mia madre alla Madonna di Cossatzu, a Aritzo”, racconta. La pietra di inciampo è stata “adottata” dall'”Associazione dei Sardi in Torino Antonio Gramsci” guidata da Enzo Cugusi, che ha organizzato l’iniziativa in occasione della Giornata della Memoria. La cerimonia, avvenuta a Torino, si è svolta in forma molto intima, che in tempo di pandemia acquista un ancor più forte valore simbolico. “Ho sentito tutto il dolore, pensando a tutti quelli che non sono rientrati da quell’ inferno di crudeltà e orrore – ricorda Gesuino Paba – dove giorno dopo giorno si moriva di stenti, fame, freddo, fatica, bastonate. Ero costretto a frugare nelle tasche dei cadaveri per racimolare una buccia di patata o un pezzo di carota rancido. Avevo 18 anni. Eravamo ragazzi pieni di speranze, un anno prima mi ero arruolato volontario nei carabinieri. Dopo l’armistizio, sopravvissuto alla guerra, tornato a Roma sono stato catturato nella caserma d’appartenenza, a seguito dei rastrellamenti tedeschi”. È l’inizio dell’inferno nei lager nazisti: Meppen, Bielefeld, Paderbom, Dortmund, Buchenwald. Per 50 anni Gesuino ha taciuto dell’orrore vissuto. “Mi faceva troppo male, volevo solo dimenticare”. Ma così non è stato. Dimenticare è impossibile. “Da piccola lo sentivo gridare, aveva paura, non capivo bene, capivo solo che soffriva – racconta la figlia Patrizia – solo quando ho letto il suo libro ho scoperto la verità su mio padre”. Nel 2013 Gesuino ha deciso di dar forma ai suoi fantasmi e mettere nero su bianco i suoi ricordi in un intenso e toccante diario di memorie, “Prigioniero 83964, Settecento giorni di prigionia dalla Sardegna al lager di Buchenwald”, il ricavato della vendita continua a sostenere la missione di Jangany in Madagascar.

“Ho voluto fortemente lasciare questa mia testimonianza come monito per coloro che ancora intendono far valere le proprie ragioni con la forza e affinché questa tragedia non abbia mai più a ripetersi. Per ribadire il no alle guerre, per un mondo di pace”. E proprio oggi la Prefettura di Nuoro consegnerà la medaglia d’onore alla memoria di Giovanni Antonio Vacca in una cerimonia alla presenza della sindaca di Ovodda Maria Cristina Sedda e una rappresentanza dei familiari.