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Il mondo dell’arte isolano (e non solo), pare meravigliarsi quando scopre la poca attenzione ed educazione all’arte come linguaggio, ricerca, bene pubblico e comunitario prima che bene economico. Il reale valore economico dell’arte e dei suoi linguaggi, è affettivo e simbolico, si traduce in valore economico quando la comunità lo sa porre a sistema culturale condiviso.

In certe realtà, ancora da alfabetizzare nei confronti dei processi dialettici dell’arte, come quella isolana, questo è un passaggio particolarmente delicato, perché la privatizzazione e il possesso, possono naturalmente prevaricare il pubblico interesse, e anche il volere e volontà dell’artista.

Maria Lai è l’unica artista isolana, ad avere un’indiscussa quotazione di mercato internazionale, è l’unica artista isolana a essere presente in autorevoli e importanti collezioni pubbliche mussali nazionali e internazionali, ovvio che costituisca un notevole investimento economico possedere dei suoi lavori, altrettanto ovvio è che il suo lavoro a sostegno di comunità produca un indotto del turismo culturale non indifferente.

Come è più giusto promuovere e tutelare il suo lavoro? Io sposo in pieno il volere dell’artista. Maria Lai ha donato, cinquanta sue opere, al Museo dell’ex stazione ferroviaria di Jerzu, Museo finanziato dal pubblico (Comune e Regione) e che ha contribuito ad attribuire valore simbolico ed economico al lavoro dell’artista. Per il tribunale di Cagliari, l’arte però non è linguaggio, non è ricerca e non è patrimonio comune, il volere in vita dell’artista ha valore relativo dinanzi alla sentenza che dirotta i diritti delle opere donate alla nipote, che aveva costituito nel 2016 un Archivio delle opere di Maria Lai e nel 2018 una Fondazione Maria Lai, inutile sottolineare come archivio e fondazione costituiscano un potere anche di certificazione e di monopolio economico sul linguaggio dell’artista. Privatizzare linguaggio e ricerca, di un artista che ha fatto della comunità e della condivisione il suo valore aggiunto è giusto? Sicuramente è redditizio in termini economici, ma depreda la comunità e impoverisce il pubblico, che in chiave turistica e culturale, intorno alle opere di Maria Lai, aveva costruito un indotto e un laboratorio dialettico e didattico di formazione e confronto tra giovani artisti contemporanei.

Maria Lai era indissolubilmente legata a Ulassai, aveva studiato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, e in Accademia aveva cominciato a comprendere il valore della ricerca artistica come strumento comunitario e condiviso, anteponendo il processo al prodotto, in quest’ottica è nata la stazione dell’arte. L’economia privata è altra cosa, quando si introduce nell’arte come processo di ricerca culturale, naturalmente depreda il pubblico. Serve educazione e senso civico e comunitario per tutelare ricerche, linguaggi e volontà degli artisti, serve alfabetizzazione artistica.

Cagliari necessita di Alta Formazione Artistica e di una pubblica Accademia di Belle Arti, che Cagliari sia l’unica città metropolitana occidentale priva d’Accademia, consegna il futuro e la gestione dell’arte esclusivamente ai privati, che un privato legga i linguaggi dell’arte come patrimonio e bene comune formandosi in un territorio dove questo non lo si comprende, studia e metabolizza, non può avvenire, e gli artisti naturalmente finiscono per essere sottratti alla loro stessa comunità.

di Mimmo Di Caterino