Jorit racconta sul suo profilo Facebook, che oggi mentre dipingeva il volto di Luana d’Orazio, ragazza di 22 anni morta sul lavoro, presso l’Exsnia di Roma, è stato aggredito da un tossicodipendente che con una scusa gli avrebbe dato addosso, un omone alto due metri, con cane altrettanto grosso, il cane, per difendere il padrone avrebbe morso il braccio atterrandolo. Conclude il post così: “Tutto questo per rubarmi una collanina a cui tenevo tantissimo.

Non ho nessuna volontà di vendicarmi non mi interessa, non sporgeró denuncia, ma spero che questo sia un evento che faccia ragionare tutte le persone che lottano ogni giorno, noi che affettuosamente ci chiamiamo “compagni”, che vogliono cambiare questo mondo, questa gente è soltanto feccia noi dobbiamo stare con i lavoratori con il popolo, non con questi qui e siamo noi che li dobbiamo allontanare, siamo noi che dobbiamo prenderci le nostre responsabilità e rendere i posti occupati sicuri.”

QUESTA È LA NOTIZIA, QUALI SONO LE MIE CONSIDERAZIONI NEL MERITO?

Come certa street art nazionale, spicchi per provincialismo e sciacallaggio mediatico di massa è un fatto evidente. Jorit in un centro sociale ritrae Luana d’Orazio, la lavoratrice ventiduenne morta al lavoro, giustamente è per questo pagato, ma il fatto che sia pagato non impedisce di notare, quanto il suo lavoro e la sua ricerca, non vadano mai oltre l’iconicità mediatica di massa (ricordate il suo omaggio a Fedez? Quello a Vittorio Sgarbi? Stefano Cucchi?). Ma guardando oltre: Jorit lamenta che mentre era al lavoro al murales, questo tossico alto due metri (perché altrimenti come giustificare non essere riuscito a reagire all’aggressione? Con tanto di cane che l’ha immobilizzato per garantirgli la fuga, altrimenti comunque non l’avrebbe spuntata), questa “feccia”, armata di cane addestrato, gli ha rubato una collanina a cui teneva molto. Non giustifico la violenza, ma se un disperato si avvicina a Jorit perché gli punta la collanina per sopravvivere, sapendo quanto e come Jorit sia celebrato dal mercato e dalle istituzioni, perché deve essere così demonizzato, da chi dovrebbe tutelarne le problematiche? Non è una violenza demonizzare sui social povertà e miseria culturale? Qualcosa non mi torna nel linguaggio simbolico, “feccia” non vuole dire “disagiato”, non ha nulla a che vedere con “comprendo il tuo disagio ma hai puntato un obiettivo sbagliato”.

Jorit ci rassicura: non denuncerà il tossico “feccia. Ci mancherebbe, questo è un momento dove non c’è economia sociale liquida e tutti tirano a campare come possono, un laccetto d’oro è economia cash liquida in un momento dove il lavoro non c’è, Jorit non ha presente cosa stia avvenendo in Italia? Jorit era al lavoro, chi gli ha rubato la catenella ha attaccato un simbolo, un privilegiato, uno che sicuramente in questo momento sta meglio di lui, in quest’ottica ha subito un piccolo esproprio proletario, l’ha subito proprio in quella Roma dove dal balcone del palazzo, un politico proletario figlio di un algoritmo, aveva annunciato l’abolizione della povertà, il malcapitato Jorit, tra un lavoro istituzionale e una committenza privata e l’altra, a un certo punto ha dimenticato e perso di vista i codici della strada? Non riesce a comprendere i “compagni” che sbagliano? La sua denuncia populista e giustizialista, mossa da un fatto privato denunciato via sociale, m’intristisce. Scrivere via Facebook “non lo denuncerò”, equivale già a una condanna.

Questo oggi è la street art istituzionale? Imposizione dall’alto al basso , nel nome della tradizione muralista italica fascista, che non vede e legittima altro se non se stessa? Chi delinque per sopravvivere è feccia? Jorit a Napoli e in Italia, è un riferimento istituzionale, della giunta De Magistris e dei movimenti della sinistra sociale, e qualcosa non mi torna: sento un retrogusto bigotto e conservatorio che non mi pare tanto di sinistra sociale, come mi dite? Gli artisti di sinistra oggi sono lavoratori liberali professionisti, in quanto tali non hanno alcuna responsabilità sociale. Cavolo, mi sono perso qualcosa nel passaggio da un millennio all’altro.

di Mimmo Di Caterino