“Detenuto dal 2012, nella Casa Circondariale di Cagliari dal 21 marzo scorso, 40 anni, padre di 7 figli, ha chiesto insistentemente al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, senza risposta, il trasferimento nella Penisola per avvicinarsi alla famiglia. L’uomo, di nazionalità serba, attualmente in isolamento volontario, non vede i figli minori di 16 e 10 anni, entrambi con gravi problemi di salute, da 18 mesi ed effettua 3 videochiamate al mese con la moglie che vive con il resto della famiglia a Napoli”, la denuncia arriva, tramite un comunicato stampa, dall’associazione Socialismo Diritti Riforme.

“La nostra – ha detto la moglie Rosa Cecere ai volontari dell’associazione – è una storia davvero singolare. Mio marito ha commesso degli errori che sta pagando con il carcere ma questo non significa impedire alla famiglia di vivere. Abbiamo due figli minori entrambi sotto stretto controllo medico ai quali sono interdetti i viaggi, le condizioni economiche non ci permettono di effettuare trasferimenti in Sardegna per i colloqui. In nove anni di detenzione mio marito ha conosciuto 17 Istituti di Pena. E’ arrivato a gennaio 2020 a Nuoro dove, caso più unico che raro, ha scontato 16 mesi in regime di sorveglianza particolare (14bis). A ‘Badu ‘e Carros’ è stato vittima di un grave episodio drammatico al vaglio degli inquirenti. Ha rischiato la vita ed è stato trasferito nella Casa Circondariale di Cagliari. E’ un uomo spaventato che teme per la propria incolumità e con lui la sua famiglia. Non chiediamo miracoli, non si tratta di accedere a misure alternative, vogliamo solo che venga avvicinato ai familiari, nella struttura penitenziaria che il Dipartimento riterrà più opportuna. I nostri figli ed io, detto per inciso, non abbiamo commesso alcun reato e vogliamo poter contribuire con la nostra vicinanza al suo reinserimento sociale. Le persone possono sbagliare e devono pagare i loro errori secondo quanto stabiliscono i giudici ma questo non può significare che debbano farlo anche i parenti”.

“La vicenda dell’uomo – osserva Maria Grazia Caligaris, esponente di Sdr – ripropone in termini oggettivi la questione della territorialità della pena. Essere stato un detenuto ‘YoYo’ per 9 anni, vuol dire che è stato sicuramente un cittadino problematico, anche il regime di sorveglianza speciale è stato adottato, a torto o a ragione, per intemperanze del carattere. Resta però il fatto che è stato trasferito in un’isola che oggettivamente costringe i familiari a spese esorbitanti e li esclude totalmente dal percorso riabilitativo. Ciò a maggior ragione quando in una stessa famiglia ci sono due minori con il riconoscimento del 100% di invalidità. Accordare il trasferimento al carcerato significa non solo rispettare un principio fondamentale, quello di far scontare la pena nel luogo di residenza più prossimo ai familiari, significa non gravare ancora di più su una donna che si è fatta carico in tutti questi anni di fare fronte a una condizione davvero difficile. Significa affermare un diritto sancito dallo Stato ma anche accordare un atto di umanità da parte del Dipartimento che – conclude l’esponente di Sdr – può essere la svolta decisiva per sviluppare un percorso riabilitativo nel pieno rispetto della finalità della pena”.