Zonca Giovanni di Bonarcado, Antonio Baranca di Ottana, Antonio Contu di Jerzu, Antonio Arras, Efisio Pizzus, Giovanni Marras di Bidonì, Giuseppe Mocci di Villamassargia, Giovanni Cuccuru di Silanus, Sisinnio Pischedda di Marrubiu, Baldasarre Campus di Birori, Deligio (Giovanni Battista Deligia) di Ghilarza.

Sono i nomi dimenticati delle vittime della strage di Itri, avvenuta centodieci anni fa, nel 1911, avvenuta nel comune situato nella regione storica chiamata Terra di Lavoro, il 12 luglio sera e proseguita sino al 13. L’eccidio avvenne ai danni di undici operai sardi impiegati nella realizzazione della ferrovia Roma-Formia-Napoli. L’eccidio coinvolse anche i familiari delle vittime, da tempo residenti in loco.

Gli scontri avvennero ad opera di un numeroso gruppo di itrani, guidati dal sindaco e da alcuni carabinieri e guardie campestri, con l’intenzione di cacciare in primis gli operai sardi che protestarono contro il pagamento del pizzo alla camorra, la quale attraverso la Ditta Spadari gestiva l’intero progetto ferroviario comprese altre attività dislocate in tutta la zona.

Le proteste dei sardi erano anche e soprattutto sorte per le condizioni di lavoro disagiate: lavoro più gravoso e una paga inferiore rispetto a quella percepita dai lavoratori continentali.

In quella tragica notte ci furono anche molteplici feriti e alcuni dispersi, tutti sardi. I sopravvissuti scrissero una querela presentata al procuratore del Re di Cassino in cui descrissero i fatti accaduti e i responsabili, richiedendo una maggiore tutela da parte dello Stato.

Dopo il massacro si aprì un’inchiesta a cui seguirono in ritardo diverse udienze parlamentari, che videro intervenire i parlamentari sardi dell’epoca: Carboni-Boi, Francesco Cocco-Ortu e Francesco Pais-Serra. Le indagini proseguirono per circa un anno, riportando i fatti con imparzialità. Si sarebbe arrivati al processo, che si svolse tra il 2 e il 5 maggio 1914 a Napoli e che vide il proscioglimento da ogni capo d’accusa degli imputati itrani.

Il giornale Grido di Gaeta, in merito alla strage di Itri, scrisse: «…Gli itrani han mal sopportato la presenza degli operai sardi, perché li ritenevano cattivi di natura e capaci di commettere solo danni, ma tolleravano l’operaio sardo perché spende generalmente tutto ciò che guadagna in Itri, la cui popolazione se ne avvantaggiava. Ma nei paesi di limitata popolazione la prevenzione ed il pregiudizio si fanno sollecitamente strada e vi mettono poi radici saldissime. Così, in Itri, si tolleravano i sardi per proprio tornaconto ma si insisteva sempre pel loro allontanamento».

Attualmente non c’è ancora stato un vero riconoscimento di quanto accaduto a Itri, quanto più semplicemente una risposta volta a rinvenire eventuali responsabilità nello stato e governo italiano dell’epoca, che nulla fece per evitare la strage.

Per ricordare la vicenda, il cantautore cagliaritano di origini barbaricine Gigi Acquas ha scritto una canzone estremamente toccante, che rientra nel suo nuovo disco.

Tra le altre tracce, un brano che ha le parole di Montanaru, il poeta desulese, “Canto de Natale”. Nel complesso l’album ha richiesto quasi tre anni di lavoro e contiene dieci inediti, che hanno impegnato quattordici professionisti tra Capoterra, Monserrato, Baradili, Manchester, Selargius.

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