Quante volte vi sarà capitato di entrare in un museo ricco di opere d’arte, che sia un dipinto di Raffaello, una scultura di Canova o l’arazzo della regina Matilde, e dovete trattenere la vostra anima social dallo scattare foto e video ricordo?

Il dibattito, ancora una volta, è partito dai social e, in particolare, dal profilo di una nota influencer cagliaritana, con una laurea in Architettura e appassionata d’arte e cultura, che pone l’accento sulla questione: perché non si possono scattare foto all’interno dei musei se poi troviamo una marea di immagini delle stesse opere sui social? Certo per questione di copyright, commenta l’influencer, ma il punto è un altro: non sarebbe meglio, si chiede, se fossimo liberi di pubblicare le nostre esperienze culturali così da generare una certa attrattiva verso le stesse? Dovrebbe funzionare un po’ come per i locali di ristorazione, che al contrario lasciano i loro contatti social proprio per promuovere le loro specialità.

In realtà, esiste già una legge che garantisce la “libertà di scatto” all’interno dei musei e altri centri culturali. È il “Decreto cultura”, approvato nel 2014 che, tra gli altri, ha aggiunto all’art. 108 del D. Lgs. n. 42 del 22/01/2004 il comma 3-bis, che permette “la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro, neanche indiretto”.

Il punto quindi sta proprio qui: la pubblicità “incontrollata” che si andrebbe a generare sui profili social di personaggi più o meno conosciuti, sebbene tutti i creatori di contenuti sul web siano tenuti a dichiarare eventuali collaborazioni e lavori retribuiti (cosa che nella maggior parte dei casi viene fatta).

La domanda dell’influencer, allora, trova una risposta, che svela una verità non troppo nascosta: l’Italia sprizza arte da tutti i pori, e tanti giovani sarebbero disposti a realizzare contenuti ad hoc per promuovere le bellezze del Paese di geni artistici come Leonardo e Michelangelo. D’altra parte però manca ancora un meccanismo consolidato pronto ad accoglierli non come dei ladri che vanno a rubare in casa propria, ma come dei veri e propri promoter culturali, che al contrario attrarrebbero turisti da ogni dove – si sa, i social non hanno confini – e potrebbero, perché no, far ripartire un settore che da un anno e mezzo ormai cerca di risollevarsi in tutti i modi. Sia chiaro, però, tutto rigorosamente senza flash.

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