“In Sardegna non c’è il mare” è il titolo di un racconto del noto scrittore nuorese Marcello Fois, che racconta l’anima più ancestrale dell’Isola: quella dell’interno, dei territori montuosi, degli scenari agro-pastorali, molto diversa dalle cartoline a cui il turista comune è stato abituato a vedere negli ultimi trent’anni. Quest’area della Sardegna rischia di vedere sparire a breve i suoi abitanti, con una popolazione che invecchia e i giovani che vanno via. Un impoverimento demografico accompagnato da un declino economico che appare difficile da arrestare. Meno reddito, quindi, ma anche meno risorse, meno impresa.

Lo spopolamento dell’Isola non è iniziato oggi, ma a partire dal Piano di Rinascita degli anni Sessanta. Se nel 1961 la popolazione dell’entroterra era pari al 47% del totale regionale, nel 2020 è scesa al 33% e di questo passo potrebbe scendere al 29,7% nel 2050. L’ultimo report realizzato dal Centro Studi della Cna Sardegna è molto chiaro: il calo demografico dell’area interna dell’Isola ha portato in soli sette anni a una perdita di oltre 230 milioni di euro (valutati ai prezzi del 2019) di reddito annuo dei residenti. In pratica tra 2012 e 2019 il reddito complessivo prodotto dai residenti è diminuito del -4,2% per i comuni dell’interno, mentre, pur in un contesto di prolungata difficoltà per l’economia regionale, si è ridotto molto meno nella fascia costiera (-1,8%). A titolo di paragone, la città di Cagliari, la più popolosa dell’Isola, conta oggi 151 mila abitanti: quasi il 9,4% degli 1,6 milioni dei residenti in Sardegna.

“La crisi che ha fatto seguito all’emergenza sanitaria è solo l’evento più recente che, in Sardegna, si è inserito in un contesto di persistente debolezza economica e declino demografico – dichiarano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu rispettivamente presidente e segretario regionali di Cna Sardegna – un declino che va avanti da oltre trenta anni e che ha colpito alcune aree più di altre. Ad aree più dinamiche sia da un punto di vista socio-economico e demografico si contrappongono territori il cui declino demografico ed economico appare già oggi molto difficile da arrestare”.

È necessario, dunque, sostengono Piras e Porcu, ideare un progetto di sviluppo adeguato che valorizzi e tuteli il patrimonio paesaggistico e culturale delle aree interne, che pensi a un modello di turismo alternativo: culturale, naturalistico, esperienziale e che promuova la cultura, l’economia, l’artigianato e le tradizioni locali.

Le cause che hanno portato a queste dinamiche demografiche, evidenzia la Cna Sardegna, sono diverse: economiche, sociali, culturali, infrastrutturali, e un ruolo importante va ricondotto alle politiche di sviluppo economico regionale che negli anni Sessanta e Settanta puntarono tutto sullo sviluppo dell’industria (in particolare petrolchimica) ed ebbero, oltre ad esiti fallimentari, un ruolo determinante nell’innescare quel processo di svuotamento delle campagne e dell’entroterra che prosegue ancora oggi.

Negli anni più recenti un modello di sviluppo turistico incentrato quasi esclusivamente sullo sfruttamento del turismo balenare non ha frenato i trend di svuotamento demografico delle aree interne, che sono continuati. Ad esempio, attualmente per i comuni dell’interno l’indice medio di accessibilità infrastrutturale calcolato dal Cresme è del -4% inferiore rispetto ai comuni della fascia costiera, una percentuale che sale se si considera l’accessibilità a porti e aeroporti. E questa disparità era maggiore in passato. E l’impresa non si fa dove ci sono problemi logistici, o laddove mancano le infrastrutture fondamentali.

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